Dopo Toni e Gilardino gli «attaccanti moderni» E il gol è diventato un affare per pochi
principio fu Riganò e nessuno o quasi sapeva chi fosse. Lo volle a tutti i costi Giovanni Galli per la prima Fiorentina targata Della Valle e fu l’acquisto più indovinato della sua gestione, perché una squadra che abbia delle ambizioni deve assolutamente disporre di un centravanti che la mette dentro. Non a caso l’innamoramento con l’ex muratore di Lipari fu immediato perché questo fanno gli attaccanti di razza: accendono la fantasia. Chi segna ha sempre ragione e pure un ingaggio molto più alto.
Il grande problema della Fiorentina di Pioli è che gli otto dell’attacco viola (Simeone, Pjaca, Chiesa, Mirallas, Eysseric, Vlahovic, Sottil, Thereau,…sì anche Thereau) in undici partite hanno fatto la miseria di cinque gol, appena uno in più di Benassi, che non è proprio al top dell’immaginario dei tifosi. Il primo a salire sul banco degli imputati non può che essere il successore temporale di Riganò, il Cholito Simeone. Senza scomodare Batistuta, va però ricordato che il ragazzo ha preso il posto di attaccanti non sempre così prolifici. Perché il bomber da venti gol più o meno certi a stagione la Fiorentina non ce l’ha in pratica dall’addio di Gilardino nel 2011, e prima di lui c’era stato solo l’immenso Toni del primo anno di Prandelli, quello che vinse prima la Scarpa d’oro e poi il Mondiale. Certo, al momento ci si accontenterebbe pure di abbassare l’asticella, scendendo alle cifre del Kalinic fiorentino, che poi sono le stesse di Simeone nella passata stagione.
Questa appassionata ricerca dell’attaccante capace di risolvere i problemi è una costante viola da quando la squadra tornò in serie A nel 2004. Vista la sterilità dell’accoppiata Riganò-Miccoli, per non parlare del fantasma Portillo, nel gennaio del 2005 arrivò Pazzini, con l’aggiunta dello strapagato e iper-valutato Bojinov. Fu un mezzo disastro e l’equivoco sul Pazzo durò per tre stagioni, senza mai capire se fosse davvero un centravanti di razza. Nel frattempo però erano arrivati prima Toni e poi dopo Gilardino. Come nelle favole tutti vissero felici e contenti, anche perché c’era il principe azzurro Mutu a rendere tutto più semplice: in due marcavano il romeno, semplice no? Quando le polveri del Gila cominciarono a bagnarsi, iniziarono i dolori.
Fu lì che partì l’attesa messianica di Babacar, predestinato da sempre e arrivato mai al traguardo. Nella vana attesa che la pantera senegalese esplodesse ecco in campo una girandola quasi invereconda di nomi: Silva (indimenticabile) El Hamdaoui, Seferovic, Larrondo, il secondo Toni. Il tutto per fortuna condito dall’eresia tattica di Montella, quella che senza incontristi a centrocampo fece di Jovetic e Ljajic due pseudo-punte da doppia cifra. E il bomber? Lo volete davvero? E allora ecco il massimo dei massimi: Mario Gomez, chi meglio di lui? In venticinquemila ad attenderlo in un’afosa giornata di luglio allo stadio, in cinque a salutarlo due anni dopo, assicurandosi che se ne andasse davvero in Turchia dopo stagioni da pianto greco. Diverso è stato il discorso di Rossi, che centravanti vero non è mai stato, assomigliando parecchio a Mutu, e che pure ha guidato la classifica dei cannonieri per un girone, fino a quando non si è bloccato quasi definitivamente.
La delusione cocente per Gomez ha fatto sì che chiunque arrivasse dopo godesse della generale benevolenza e comunque l’ottimo Kalinic del primo Sousa sembrava poter riportare il popolo viola ai tempi felici di Toni e Gilardino. La sua avventura biennale a Firenze è da classificarsi come positiva, ma anche lui non è e non era il classico centravanti da area di rigore. Come non lo è Simeone, a partire dalla struttura fisica, ma almeno fino a gennaio bisognerà accontentarsi.
Quanti flop
La delusione per Mario Gomez ha lasciato il segno. Nel mezzo una girandola di nomi improbabili: da Silva a Seferovic fino a Larrondo