Tassista in coma, ragazzi assolti
Il giudice: legittima difesa. La famiglia dell’uomo: è la delusione più grande della vita
Assolti i ragazzi che nel luglio 2017 litigarono e si picchiarono con Gino Ghirelli, il tassista che da allora è in coma. Per il giudice fu lui a colpire per primo e la loro fu legittima difesa.
Non volevano aggredire il tassista, hanno agito per proteggersi dopo un banale diverbio. Così vengono assolti per legittima difesa i due ragazzi accusati di aver preso a botte e calci Gino Ghirelli, 67 anni, un passato da tassista e una vita trascorsa al volante di Parigi 36, la notte del 13 luglio 2017.
Da quella notte, il conducente è in coma e continua a combattere in un letto di ospedale. Al palazzo di giustizia sono passate da poco le 17 quando il gip Anna Liguori, dopo tre ore di camera di consiglio, legge il dispositivo che spariglia gli animi. Nell’aula 9, dove si svolge a porte chiuse il processo in abbreviato per lesioni gravissime, ci sono i due ragazzi e c’è Silvia Ghirelli, la figlia di Gino, uniti da un silenzio misto di dolore e ansia. Nessuna parola corre tra loro. Il verdetto solleva il morale dei giovani fiorentini, 23 anni: fino a un anno e mezzo fa non avevano avuto mai guai con la giustizia. E getta nello sconforto i familiari dell’ex boxeur, che si erano costituiti parte civile insieme alla Cooperativa dei tassisti (era stata, invece, rigettata la richiesta di costituirsi parte civile di Palazzo Vecchio).
«È una liberazione per i due ragazzi» annuncia il difensore Vittorio Sgromo uscendo dal tribunale. «Non c’è giustizia, siamo distrutti» sussurra la figlia di Ghirelli. «La più grande delusione della mia vita — incalza Daniela Cammilli, la moglie con la voce rotta dall’emozione — Quei giovani non hanno chiesto mai scusa, anche oggi che eravamo seduti su un divano, gli uni accanto agli altri, sono rimasti in silenzio. Come si fa a prendersela con un vecchio di 67 anni? Cosa si insegna alle generazioni future?». L’avvocato della famiglia Ghirelli, Bianca Maria Giocoli aggiunge: «Aspettiamo di leggere al motivazione, ma questa sentenza è un brutto segnale per la categoria dei tassisti perché legittima ogni aggressione».
Quella notte Gino Ghirelli contattò la centralinista del radio taxi alle 2,20: «Due ragazzi italiani non volevano pagare la corsa e mi hanno aggredito». Mise in guardia i colleghi e poi ritornò a casa. Il giorno dopo, però, non rispose alle telefonate della moglie, al mare con i nipoti. Toccò alla figlia, nel pomeriggio, scoprire il padre svenuto nel salotto di casa, con una ferita sanguinante alla tempia sinistra. La corsa in ospedale e poi un intervento chirurgico d’urgenza per bloccare l’emorragia cerebrale. E i ragazzi dopo aver sentito la notizia in tv si presentarono in caserma per raccontare la loro verità. Rimasero sconvolti quando appresero della gravità delle condizioni di Gino Ghirelli.
«Nessun tentativo di rapina — spiegarono subito ai carabinieri — Eravamo solo un po’ euforici, abbiamo fatto un po’ di confusione in macchina ed è nata una discussione e siamo arrivati alle mani». Ricostruirono ogni momento di quella notte. Dopo aver trascorso la serata con gli amici salirono sul «Parigi36» alla loggia del Porcellino per raggiungere piazza Beccaria. Una volta a destinazione, i due avrebbero voluto pagare con il bancomat ma il tassista preferì soldi in contanti, per questo si fecero accompagnare allo sportello automatico. Ritornati nella Caddy Volkswagen, raccontarono i ragazzi, iniziarono a scherzare, dicendo che non avrebbero pagato la corsa e sarebbero scappati. Per quell’equivoco nacque un diverbio. Dalle parole passarono alle mani. I giovani sostennero che fu Gino Ghirelli a colpire per primo: una testata a uno, poi un cazzotto all’altro. I ragazzi reagirono con pugni e schiaffi, senza tirare calci. Il tassista allora cadde per terra, ma riusci a rialzarsi.
«Quando siamo andati via — assicurarono i ragazzi ai carabinieri — lui era in buone condizioni». Alcuni testimoni, invece, riferirono di aver visto i due giovani colpire a pugni e calci il tassista e poi scappare. Sul racconto dei giovani si è giocata in aula la partita. È stato ritenuto attendibile dal giudice, che ha respinto la richiesta di condanna a 6 anni del pm Paolo Barlucchi e ha fatto cadere quella terribile accusa. Ma Gino è sempre lì, nel letto d’ospedale, a lottare tra la vita e la morte.
Dopo la sentenza
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