«Ci chiameremo Crete senesi» E scoppiò la guerra
Le firme sono arrivate a quota 2.700, ma l’accordo è quanto mai lontano. Asciano e Rapolano Terme si presentano al referendum come gli unici Comuni toscani dove l’iter della fusione è partito per iniziativa popolare. Una peculiarità che alla prova dei fatti ha portato solo tensioni e divisioni. Soprattutto nel centro termale, con l’amministrazione comunale e un agguerrito comitato per il no che da mesi non perdono occasione per il rilanciare la loro contrarietà a questo matrimonio. Il primo motivo del contendere sta proprio nel nome del nuovo Comune, Crete senesi, che secondo i contrari cancellerebbe l’appeal turistico a Rapolano. «Le terme sono una nostra forza — taglia corto il sindaco Emiliano Spanu (Pd) — La nuova denominazione toglierebbe il richiamo e questo sarebbe un danno per la nostra economia».
Un passaggio non secondario, al punto che il Consiglio regionale ha preso tempo e, in caso di vittoria del sì, si è riservato la possibilità di intervenire in un momento successivo. Il possibile cambio in corsa non ha mutato la situazione e il clima di avvicinamento al referendum di domani e dopodomani si è fatto via via più pesante. «È stato un periodo difficile — attacca
Simona Vecchi, consigliere comunale del Movimento 5
Stelle e vicino al comitato per il sì — C’è una profonda divisione nel paese e chi è favorevole subisce pressioni importanti. Al di là di questo, la fusione per Rapolano è una necessità, perché la situazione economica è disastrosa».
I sostenitori del no rispediscono le accuse al mittente. «Intanto, credo che sia il caso di abbassare i toni — spiega il sindaco Spanu — Però posso capire che si è sentito derubato della propria identità. Sta di fatto che i seggi saranno senza presidio delle forze dell’ordine, mi auguro che non succeda niente». Nove chilometri più a est di questo clima divisivo vi sono rare tracce. Il referendum è passato quasi sotto silenzio e c’è la possibilità che vi sia una bassa affluenza alle urne. Neppure il sindaco Paolo Bonari (Partito democratico) è sceso in campo in prima persona, ma ritiene comunque la fusione «una opportunità». «Tra qualche anno non saremo più in grado di rispondere ai cittadini — dice Bonari — perché mancherà personale. In più, unendoci, avremo maggiore forza contrattuale. Senza dimenticare i vantaggi economici». Benefici che per Saulo Gambelli, tra i sostenitori del no, non sono supportati da un solido studio di fattibilità: «Se si parlasse di accorpamento, potrei essere anche d’accordo. Dalla fusione però non si torna indietro».