Il pongo pieno di vita della bad girl dell’arte
Da Vannucci il work in progress di Sandra Tomboloni
Esserci, esserci sempre. L’arte, per Sandra Tomboloni, non conosce mezze misure. È per questo che lavora giorno e notte. È successo per I, tavola su cui prendono forma figure interconnesse di plastilina rossa, creata per la collettiva
Let’s twist again, oggi in chiusura alla galleria Vannucci di Pistoia. Ma I è ancora (e volutamente) in fase di compimento: «In quanto work in progress, rappresenta un po’ tutto il mio lavoro — dice — I è la prima lettera di io e il primo dei numeri romani, è il singolare per eccellenza ma è anche l’articolo determinativo che rappresenta la moltitudine. Tanti pensano che l’arte sia un privilegio, ma per me è fatica, sacrificio, lacrime». Tomboloni è una delle artiste simbolo del nuovo corso della storica galleria da poco trasferitasi in un ex capannone industriale alle porte del centro storico. E a lei è stata dedicata la performance di Yael Karavan e il catalogo, La Bad Girl
Italiana, edito da Gli Ori e curato da Stefania Gori. Diplomata alla scuola di sartoria Tornabuoni con la costumista Anna Anni, e poi all’Accademia di Belle arti di Firenze, si è fatta apprezzare fin dagli anni ‘90. Allora, nel panorama fiorentino, la conoscevano anche per la sua personalità particolarissima. Spesso dormiva in Accademia o in strada, senza mai smettere di dipingere. «Ciò ha contribuito a renderla unica, e vicina ai contrasti tipici della sua generazione», ci racconta Stefania Gori. Che la vide per la prima volta sul palco del Metastasio di Prato con Virgilio Sieni («Rimasi folgorata», rivela) e che, per il catalogo, si è ispirata al titolo —
Bad Girls — di una mostra del New Museum di New York del ‘94. Vi esponevano artiste Usa della stessa generazione di Tomboloni, con «una gran rabbia addosso». Lei, intanto, dopo la pittura astratta scoprì il pongo, «duttile e ricco di colori: il materiale ideale per esprimersi», prosegue Gori. Usato per rappresentare le figure di «un’umanità disperata con le quali ricopre oggetti di uso quotidiano»: come un mattone, una pietra o un seggiolino per bambini. Anche la ceramica serve alla bad girl di Pontassieve per narrare «un’umanità liquida, aggrovigliata», e trattare temi quali la casa, la società, gli ultimi, i rifiuti e la pratica del riciclo, gli altri come specchio di sé. L’essere artista è una ricerca incessante: «Vuol dire fatica, io ho rinunciato a tutto per l’arte», racconta Tomboloni. Per lei, lavorare intensamente vuol dire «esserci».