E Calci diventò capitale del tennis italiano
Negli anni ’80 nella cittadina in provincia di Pisa arrivarono Bertolucci e Zugarelli E vinsero uno storico scudetto
Volevano imitare i campioni del calcio, conquistarono l’Italia con una racchetta. Sognavano di giocare la serie A, finirono per vincere lo scudetto. Scherzo del destino, il miracolo tennistico accadde in una località chiamata Calci, una manciata di chilometri dalla famosa torre pendente.
In quegli anni Pisa era in piena effervescenza sportiva grazie allo Sporting Club di Romeo Anconetani, il presidentissimo che portava in pellegrinaggio la squadra, spargeva sale sul campo da calcio prima delle partite e che nel 1982 aveva riconsegnato alla società nerazzurra la massima serie. Era il Pisa del tecnico brasiliano Luis Vinicio, dell’ala danese Klaus Berggreen, dell’attaccante Guido Ugolotti e di Sergio Buso, il «Buster Keaton» dei pali. Anche il tennis conservava solide radici in tutta la provincia, dove riecheggiavano i successi pioneristici di Nicla Migliori, regina italiana del doppio misto e campionessa assoluta di singolare, con ottavi di finale raggiunti a Parigi e a Wimbledon. Il seme era stato piantato, e nella vicina Calci un gruppo di dirigenti del Tennis Club Certosa — composto da Arsede Spinosi, Mario Marescalchi, Don Patrizio Doveri e guidato da Guglielmo Berti — aveva cominciato a coltivare un progetto tanto ambizioso: fare del pallone della Gabella (questo il nome della frazione dove sorgevano i campi) la capitale della racchetta. Ci riuscirono in fretta, perché già nel 1980 la squadra femminile (Monica Bertolucci, Monica Giorgi ed Elisabetta Lazzeri) vinceva il tricolore, trasformando questo puntino della carta geografica in un centro di implosione tennistica.
La serie A viveva un’età dell’oro, i club investivano, visibilità e credibilità. Il torneo si disputava nei mesi di gennaio e febbraio con sfide al meglio dei tre incontri (due singolari e un doppio): prima la fase a gironi, quindi semifinali e finale con match di andata e ritorno. Non si accontentarono a Calci, e nel 1983 tentarono l’en plein con gli uomini. Sfidare i fratelli Panatta, i Barazzutti, i Canè, i Colombo? Perché no. Il grande sogno fu cementato da pregiate materie, oggi disperse, chiamate imprenditoria etica e capacità dirigenziale. E da tanta qualità tecnica. Lo sponsor Sax garantì la copertura economica per arruolare due quarti del team di Coppa Davis trionfatore a Santiago del Cile: arrivarono il romano Tonino Zugarelli e il versiliese Paolo Bertolucci, ai quali si aggiunse il miglior doppista del momento, il gigante genovese Enzo Vattuone. Capitano fu nominato il maestro Sergio Marrai, oggi pàtron del Tc Italia Forte dei Marmi. Un accordo siglato con lo Sporting Club Pisa prevedeva che il venerdì sera le due squadre, calciatori e tennisti, si riunissero a tavola, come a suggellare l’eccellenza sportiva della provincia.
Le conviviali si tenevano «in monte», nella casa del presidente del Tc Certosa Guglielmo Berti, industriale nel settore dei semilavorati per mobili. Cucinava piatti gustosissimi un operaio dell’azienda di Berti. Era a lui che spettava l’arduo compito di accontentare i palati di Vinicio e Anconetani, di Marrai e Vattuone, di Berggreen e di un buongustaio come Pasta Kid, alias Paolo Bertolucci. Nella minuscola Calci riuscirono a inventarsi un modello di aggregazione che partiva dallo sport per coinvolgeva i giovani, la cittadinanza, le istituzioni. Un modello che Romeo Anconetani voleva saldare dentro un’opera avveniristica: una cittadella sportiva, da realizzare proprio nell’area circostante il Tc Certosa. Quella squadra maschile di serie A era stata allestita per osare. Stravinse. Vattuone non perse non un solo incontro di doppio, Zugarelli e Bertolucci (32 e 31 anni, reduci da un campionato anonimo con il Match Ball Firenze) trovarono a Calci un ambiente familiare e goliardico, ideale per ribadire la loro classe ed esperienza. Il Tc Certosa chiuse imbattuto la fase a gironi, superando Milano e Parioli Roma, strapazzando Brescia, Forlì e l’altra formazione capitolina, il Garden. Poi in semifinale liquidò il Tc Parma. In finale si ripresentò il Tc Milano, un club storico con cinque titoli in bacheca, che si affidava a due ventenni di belle speranze, Simone Colombo e «The King» Luca Bottazzi, gioco aggressivo da fondocampo e qualche velenoso attacco a rete. Ma ormai nessuno poteva fermare la corsa del Tc Certosa Calci verso il tricolore. I ragazzi di Marrai si aggiudicarono a Milano per 3-0 la gara d’andata, quindi si prepararono a celebrare il trionfo nella maniera più bella, davanti ai loro tifosi.
Le partite interne si disputavano il sabato a partire dalle ore 14. Quel sabato 26 febbraio 1983 il tennis fu sold out con largo anticipo. Le famiglie con gli allievi della Scuola Sat (circa 150, numeri importanti per quel tempo), gli appassionati della provincia, molti neofiti, invasero il circolo sin dalla mattinata. Un pranzo al ristorante di Luciano Pera, poi via a garantirsi un posto in tribuna o in piedi dentro il «pallone» della Gabella, che solo in quella breve stagione aveva registrato oltre 3.000 ingressi e che rimaneva troppo piccolo per poter contenere tutti. Si respirava aria di festa da provincia, e fuori dall’impianto indoor lo sponsor si inventò una piramide altissima formata da scatole piene di calzature da offrire ai presenti, in pratica un monumento intitolato alla squadra che aveva scalato la serie A. Bastava un punto per lo scudetto, e Tonino Zugarelli tenne per un’oretta col fiato sospeso gli spettatori. Vinse il primo set al tie-break contro Colombo che lo aveva già sconfitto nella fase eliminatoria, poi chiuse il match 7-6, 6-3. L’adrenalina era talmente alta, anche a giochi ormai fatti, che il secondo singolarista Paolo Bertolucci cedette il primo set a Bottazzi, per poi rovesciare l’incontro a suo favore (6-7, 6-2,6-3). L’ennesimo, rotondo 3-0 per Calci arrivò dal doppio Zugarelli-Vattuone, vittoriosi sulla coppia Colombo-Gelmini per 6-4,6-1. Fu invasione di campo. Furono autografi e docce di spumante. Furono note di piano bar nel dopocena, perché il tennis era poesia lenta. In molti quella sera rientrarono a casa tenendo sotto braccio un paio di scarpe Sax.