Aleotti assolti, festa Menarini
I fratelli: «La Corte ha letto e capito». Dissequestrati 700 milioni. Sollievo in azienda
Nessun riciclaggio di denaro, nessuna truffa ai danni dello Stato. La Corte d’appello assolve i fratelli Lucia e Alberto Giovanni Aleotti, figli di Alberto, patron dell’azienda farmaceutica Menarini morto nel 2014, spazza via sei anni di indagini e ribalta le condanne di primo grado. I giudici dichiarano prescritta l’accusa di corruzione per Lucia, che dovrà comunque versare 100 mila euro di indennizzo alla Presidenza del Consiglio per danno d’immagine. Per lei è arrivata un’assoluzione per non aver commesso il fatto ma con la formula dubitativa dell’insufficienza di prove per la creazione delle Fondazioni nipote e nipote bis come strumento per riciclare denaro. Formula piena invece (il fatto non sussiste) per altri episodi, come l’adesione allo scudo fiscale. Viene disposto il dissequestro e la restituzione ai fratelli Aleotti di circa 700 milioni di euro, residuo del miliardo e 200 milioni sequestrati nel 2010 dopo aver chiuso le pendenze con il fisco. Sono confermate le assoluzioni per la vedova dell’imprenditore, Massimiliana Landini, per Giovanni Cresci, ex braccio destro di Aleotti, per la segretaria Licia Proietti e per l’altro collaboratore Sandro Casini. Rigettato il ricorso dei pm sull’accusa di truffa al servizio sanitario nazionale, accusa già caduta in primo grado
In aula
È quasi mezzogiorno quando il presidente Angela Annese (giudici a latere Francesco Bagnai e Sandro Venarubea) legge il dispositivo, dopo un’ora e mezzo di camera di consiglio, nell’aula 31 gremita di avvocati e giornalisti. Mancano solo i fratelli Aleotti che si erano presentati all’apertura dell’udienza per abbandonare quasi subito il Palazzo di Giustizia. «Vittoria piena, assoluzioni integrali» annuncia al telefono a Lucia l’avvocato Sandro Traversi che difende gli Aleotti con Franco Coppi e Roberto Cordeiro Guerra. Lei si commuove e l’avvocato Traversi si concede anche una citazione dal centenario della vittoria della Prima Guerra Mondiale: «I nostri avversari dialettici risalgono le valli dalle quali erano discesi con orgogliosa sicurezza». Sono le 12.02 quando, a tempo di record, si diffondono sul web le dichiarazione della famiglia. «Siamo felici. Sono trascorsi moltissimi anni dall’inizio di questa dolorosa vicenda ma finalmente il giudice ha riconosciuto la nostra estraneità».
Le accuse
L’inchiesta della Procura di Firenze parte nel 2010 quando un funzionario della banca del Liechtenstein rende pubblica una lista di migliaia di conti correnti. Quello più cospicuo ammonta a 476 milioni di euro e appartiene proprio ad Alberto Aleotti. Le indagini della Procura guidata allora da Giuseppe Quattrocchi, con i pm Luca Turco ed Ettore Squillace Greco, svelano che un sistema di società fittizie messo in piedi dal patron della Menarini per l’acquisto dei principi attivi, allo scopo di gonfiare il prezzo finale dei farmaci, grazie a una serie di false fatturazioni. Il danno per lo Stato viene quantificato in oltre 800 milioni di euro. Nel novembre 2010 scatta il maxi sequestro di 1 miliardo e 200 milioni di euro dai conti personali di Aleotti, ritenuto l’«ingiusto profitto» accumulato dall’azienda con operazioni volte a costituire fondi neri all’estero per frodare il fisco e a gonfiare il prezzo dei farmaci. Nel fascicolo si ipotizza la truffa ai danni dello Stato, il riciclaggio, la corruzione e l’evasione fiscale. Nel giorno in cui la Menarini festeggia a Palazzo Vecchio i 125 anni di vita gli investigatori si presentano nella sede del gruppo a Cam- po di Marte per acquisire alcuni documenti mentre a Roma viene perquisita la sede della casa editrice che aveva pubblicato un libro per la Menarini come strenna natalizia. La casa editrice, della moglie del senatore Cesare Cursi, ex sottosegretario alla sanità Pdl, incassò 164 mila euro. La Procura lo accusava di corruzione per aver favorito Menarini con un emendamento «su misura» a una legge sui farmaci ma nel 2015 la storia venne archiviata dopo che il Senato negò alla Procura l’uso delle intercettazioni di Cursi.
I processi
Nel maggio 2014 Aleotti senior muore all’età di 91 anni. Cinque mesi prima i suoi figli erano stati rinviati a giudizio per evasione fiscale e riciclaggio (per Lucia anche corruzione) mentre la sua posizione era stata stralciata per motivi di salute. Il processo di primo grado si conclude nel settembre 2016: 10 anni e mezzo per riciclaggio e corruzione per Lucia, allora presidente della Menarini, 7 anni mezzo al fratello per riciclaggio. I giudici ritennero che lo scudo fiscale usato per fare emergere capitali detenuti all’estero molti anni fa fosse una forma di riciclaggio. Due mesi fa si apre il processo d’appello. Nella requisitoria i pm chiedono la condanna a 9 anni per i due fratelli e sottolineano come, nel corso delle indagini, siano stati pagati 400 milioni di euro al Fisco, la cifra più consistente mai pagata all’Erario. «Tutto si decideva a Firenze, a Lugano c’era la base contabile occulta in cui si tenevano i conti della operazioni finanziarie con cui venivano investiti e riciclati i profitti illeciti. Lo scudo fiscale è un atto di riciclaggio, uno dei modi migliori per nascondere la provenienza illecita del denaro». Ma i giudici dell’Appello ieri hanno scritto un’altra storia. Tra tre mesi sapremo che ragionamento hanno fatto.
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La difesa
I nostri avversari dialettici risalgono le valli da cui erano scesi con orgogliosa sicurezza