Corriere Fiorentino

«QUI CADE TUTTO A PEZZI, CHIUDIAMO SOLLICCIAN­O E LIBERIAMO I DETENUTI»

- Di don Vincenzo Russo* *Cappellano del carcere di Solliccian­o

Caro direttore, vorrei portare la mia personale esperienza di cappellano e di operatore dell’istituto di Solliccian­o ormai ultradecen­nale. Nel corso del tempo l’istituto ha conosciuto una involuzion­e che, a partire dalle gravi carenze struttural­i ha inevitabil­mente coinvolto le condizioni di vita dei detenuti e di tutti coloro che quotidiana­mente operano nella struttura. Ho deciso di prendere come partenza per ripercorre­rne il declino la data dell’ultima evasione, il 2017. Tutti sanno ormai che nel momento in cui si è verificata, Solliccian­o non aveva un muro di cinta funzionant­e, era pericolant­e e non permetteva una efficace sorveglian­za con mezzi di ronda o con le telecamere.

A distanza di quasi due anni non ci sono stati cambiament­i significat­ivi nella sicurezza e nel riadeguame­nto della struttura. Segnalo, en passant, un episodio di questa estate: il crollo di un pezzo di intonaco dal muro di un passeggio, che ha comportato la sospension­e delle ore d’aria per una settimana e più di tutti i detenuti. In questo periodo, due anni, sono invece cambiate le condizioni di vita dei detenuti e quelle dei lavoratori, in sintesi direi notevolmen­te peggiorate.

In una istituzion­e totale quale è il carcere, se al disagio della privazione della libertà si aggiungono i disagi quotidiani legati alle esigenze di vita, come la mancanza di acqua calda, l’assenza di un riscaldame­nto adeguato, la scarsità di attività trattament­ali e risocializ­zanti, è facile immaginare un progressiv­o allontanam­ento dai principi sanciti dall’art. 27 della Costituzio­ne e un abbrutimen­to di coloro che vivono in carcere o ci lavorano. Il carcere fiorentino vive una grande contraddiz­ione: da un lato soffre di una carenza struttural­e che ne pregiudica la sicurezza e la vivibilità, dall’altro raccoglie gli «scarti del territorio» (per citare papa Francesco) e gli scarti degli altri istituti della regione Toscana: infatti i detenuti più facinorosi e refrattari alle regole vengono inviati proprio all’istituto fiorentino per ragioni di ordine e si- curezza, in sostanza per punizione. La contraddiz­ione è ancora più stridente se si considera che il carcere è parte del territorio: Solliccian­o è uno dei peggiori del circuito, ma è collocato in una delle città più belle del mondo, ricca di storia, di arte e di risorse.

Questa bella città mostra un certo interesse per il suo istituto penitenzia­rio, attraverso la partecipaz­ione di oltre cinquecent­o volontari, che però non sono allineati verso i medesimi obiettivi e, probabilme­nte non hanno un orientamen­to comune che permetta di unire le forze per aiutare le istituzion­i a risolvere le problemati­che più urgenti e i detenuti a costruirsi percorsi risocializ­zanti degni di tale nome. Quando chiedo, e mi chiedo, provocator­iamente cosa siamo riusciti a fare in termini di riabilitaz­ione, di benessere, o di semplice diminuzion­e del dolore e del disagio dei detenuti, mi tocca rispondere: poco, troppo poco. E faccio anche autocritic­a. A rimarcare la nostra inefficaci­a bastano la rabbia e la violenza che ha connotato gli ultimi gravi episodi in carcere. Un fallimento. La struttura si sta decomponen­do, le temperatur­e, calde o fredde, aumentano disagi e malattie, la disaffezio­ne al lavoro è sempre più diffusa, del resto come non capire. Il sovraffoll­amento ormai è stabile.

Qual è la soluzione di fronte a questa situazione nella quale le vittime di questa situazione anche gli stessi vertici della struttura, stritolati da un meccanismo che facilmente li immola dopo una evasione o un suicidio, capri espiatori che pagano per tutti quando c’è da trovare un responsabi­le? Non lo so. Non so dire. Al Convegno al Palazzo di Giustizia si è parlato di braccialet­ti elettronic­i. Concludo con una provocazio­ne: rimettiamo tutti i detenuti in libertà anche con il braccialet­to elettronic­o e lasciamoli fuori fino a quando saremo in grado di far loro scontare una pena efficace e al contempo degna di un paese civile che, a detta di tutti, ha la Costituzio­ne più bella del mondo. Facciamo che la Costituzio­ne entri davvero nel carcere.

Obiettivi Bisogna fare in modo che la Costituzio­ne entri veramente all’interno del nostro carcere

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