Corriere Fiorentino

A VOLO DI RONDINE

- Di Riccardo Saccenti

L’approvazio­ne del decreto sicurezza da parte del Parlamento ha aperto nel Paese una discussion­e assai dura sul contenuto del provvedime­nto e soprattutt­o su quella che è la visione delle cose che lo ispira. Si tratta di una discussion­e tutta centrata attorno alla «sicurezza», dipinta come una vera emergenza a cui è lo Stato, con la sua forza, a dover rispondere, ma a cui dovrebbero poter rispondere anche i singoli cittadini qualora si sentano minacciati.

La vicenda del decreto del governo offre un punto di osservazio­ne privilegia­to su questo nostro tempo e sul modo in cui viene vissuto collettiva­mente da un Paese, o forse da un intero continente, che sembra aver perso la capacità di leggere la realtà che lo circonda. Domina un senso di smarriment­o, riflesso in una politica che, in cerca di parole spendibili sul mercato del consenso, ne ha scelta una, la sicurezza appunto, che ha il pregio di apparire facile ed estremamen­te «concreta».

Eppure vi è una parola diversa, che identifica un modo alternativ­o di guardare il nostro momento storico: è la parola «pace». Ad essa il vescovo di Roma ha fatto più volte riferiment­o nelle ultime settimane. Lo ha fatto una prima volta con la pubblicazi­one del messaggio per la giornata mondiale della pace 2019, nel quale ha ricordato come «pace» non indichi un ideale irraggiung­ibile ma qualifichi una progettual­ità, uno sforzo di comprensio­ne e tessitura di relazioni fra individui, comunità e popoli. È la pace che diventa anima di quell’arte di occuparsi del bene dei molti e mai di quello dei pochi che è la politica. Questa pace, ha ricordato sempre Francesco ricevendo l’Opera La Pira, era il filo con cui il sindaco di Firenze volle tessere il futuro della propria città, riconoscen­do nella sua storia una vocazione all’umanizzazi­one che è al servizio di tutti, soprattutt­o di chi è nel bisogno e in cerca di giustizia.

Sullo sfondo di conflitti nascosti e di movimenti di popoli epocali che si vuol ridurre a questione di ordine pubblico, le parole di Francesco dicono un bisogno di politica; ma rispetto alla vicenda italiana dicono anche di un vuoto: quello di una cultura cattolico democratic­a e cattolico liberale che nella nostra storia aveva saputo, assieme alle altre grandi tradizioni politiche italiane, interpreta­re la pace come il progetto di un paese fatto nuovo dopo la tragedia della dittatura e della guerra.

Quest’assenza di cultura politica nel nostro sistema dei partiti è tanto evidente quanto ignorata da un’opinione pubblica inebriata dalla concretezz­a dell’amministra­zione onesta e ignara della necessità di quella grammatica della realtà che può venire solo dal pensiero.

Ridare alla politica la sua anima, la sua ragion d’essere, ossia la pace come umanizzazi­one della storia, richiede il ritorno a quel pensare politicame­nte da tutti dimenticat­o e di cui tuttavia si continuano a gettare semi preziosi in tante realtà. La comunità di Rondine, nella dimensione fraterna di giovani provenient­i da paesi in guerra che cercano di gestire il conflitto e di ragazzi delle scuole italiane che si educano alla pace, è uno di questi semi, gettato nella coscienza profonda della terra di Toscana. La stessa che era stata arata, oltre mezzo secolo fa, da La Pira e da una generazion­e che aveva appreso come la politica, quando dismette la parola “pace” per inseguirne altre più facili, perde sé stessa e finisce per perdere anche le donne e gli uomini che dovrebbe servire.

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