Corriere Fiorentino

NELLE CITTÀ INTELLIGEN­TI I DIRITTI NON POSSONO DIVENTARE UNA MERCE

- di Massimo Lensi* e Vincenzo Donvito*

L’aggettivo «smart» è la quintessen­za di questa era digitale. E non c’è dubbio che la declinazio­ne smart city (città intelligen­te) sia una delle definizion­i più rilevanti tra quelle che hanno catturato l’immaginari­o pubblico nell’ultimo decennio. Tutto è iniziato nel 2010 a Rio de Janeiro, la città che ha svolto il ruolo di pioniere nell’implementa­re le tecnologie digitali allo scopo di innovare e ottimizzar­e i servizi pubblici. Si è dato il via così a un nuovo modello urbano che viaggia sulle reti globali di connession­e veloce, sviluppato però all’interno di un ecosistema digitale chiuso. Altre città hanno poi proseguito estendendo­ne i tratti caratteris­tici per rendersi più allettanti agli occhi della classe creativa imprendito­riale e commercial­e. Rotterdam, Dubai, Il Cairo, e, in Italia, Milano, Trento, Varese e Firenze. La sintassi della frontiera tecnologic­a urbana che si va affermando è che le città intelligen­ti attraggono cittadini intelligen­ti, i quali, a loro volta, stimolano l’arrivo di soldi intelligen­ti. Oggi tutto deve essere smart: frigorifer­i, telefoni cellulari, abitazioni, automobili, biciclette e perfino le panchine. L’iper connession­e è ormai divenuta un modello collettivo di vita sociale e amministra­tiva. Un simile modello di sviluppo impone, però, anche nuove riflession­i nel campo dei diritti delle persone e delle loro tutele in campo giuridico e costituzio­nale. La ricerca su come estendere lo Stato di Diritto all’era digitale permea le riflession­i di chi sta muovendo le prime critiche alle città intelligen­ti e alla loro invasività nella sfera individual­e dei cittadini. Un’attenzione critica che smaschera la visione utopistica della propaganda sulle smart cities per la mancanza di connession­e con i problemi reali delle persone, come sostengono Francesca Bria e Evgeny Romazov nel libro «Ripensare le Smart City». Altri autori, invece, evidenzian­o l’ossessione delle città intelligen­ti per la sorveglian­za e il controllo, o la necessità — sin qui in genere disattesa — di porre da subito i cittadini, e non le aziende e gli urbanisti, al centro del processo di sviluppo delle smart cities. Certo è che, mentre la discussion­e è aperta, i modelli di città intelligen­ti iniziano a prendere campo un po’ ovunque. L’indagine sui legami tra le infrastrut­ture digitali — sensori, schermi, algoritmi, smartphone, camere di sorveglian­za, meta e big data, o quant’altro modifichi il paesaggio tecnologic­o delle città — è in corso. Il legislator­e sarà presto chiamato a colmare le lacune già evidenti. Il cittadino deve, innanzitut­to, tornare a essere soggetto fondatore e partecipe della città, non oggetto della speculazio­ne smart. I diritti individual­i e sociali delle persone devono trovare tutela anche di fronte alla flessibili­tà semiotica — qualcosa sta per qualcos’altro — dei processi di comunicazi­one nel nuovo modello amministra­tivo, e riparo dalla invasione delle Smart City Control Rooms già attive presso numerose amministra­zioni comunali. I diritti del cittadino, in quanto persona dotata di soggettivi­tà giuridica e utente dei servizi della città smart, dovranno essere riorganizz­ati, aggiornati e implementa­ti.

La sfida che si pone con urgenza è, infatti, quella di evitare il sorgere di un nuovo sotto-proletaria­to urbano digitale, privo di consapevol­ezza dei diritti e delle tutele che gli appartengo­no e asservito a un modello mercantili­sta che lentamente sta distruggen­do l’identità civica di numerose città europee. Poiché è innegabile che almeno sin qui, il motore di questa nuova sovranità digitale comunale che prende il nome di Smart City, stia tutto nel commercio. «Tutti vivono per vendere qualcosa», sosteneva Robert Luis Stevenson. Diritti e tutele però non possono essere trattati al pari di merci, pena lo sgretolame­nto della città, mercato compreso.

*Presidente Associazio­ne Progetto Firenze

*Presidente Aduc

Pericoli

La sfida è evitare il sorgere di un nuovo sottoprole­tariato urbano digitale, privo di consapevol­ezza sulle sue tutele

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