Matteo, ora che succede? I renziani e l’opera incompiuta del renzismo
interni, colpevoli della sconfitta del 4 dicembre e del 4 marzo. Un’altra parte invece vuole restare nel Pd per riconquistarlo e ricostruirlo. Forse Renzi ha deciso quale parte ascoltare e si appresta a fare «una cosa tutta sua». Vedremo.
La questione però è: quanti sarebbero disponibili a seguirlo? A differenza di altre epoche, Renzi suscita qualche perplessità anche fra i suoi. Basta leggere cosa scrive Andrea Romano, direttore di Democratica, che invita a tenersi stretto il Pd: «Esistono più di cento ragioni per lamentarsi del Pd, partendo dai suoi ritardi per arrivare alle sue inadeguatezze e passando per il peso di portare su di sé le sacrosante aspettative di una comunità politica in carne e ossa che vi dedica ogni giorno tempo e passione. Ma esiste una ragione che più di ogni altra deve spingerci a difenderlo dalla narrazione (o dall’auspicio) di certa stampa sulla sua “irrilevanza”: non sappiamo ancora quale sarà il profilo politico, la leadership e la sostanza dell’alternativa che alle prossime elezioni legislative si contrapporrà ai kamikaze gialloverdi; ma sappiamo con certezza che quell’alternativa non potrà che ruotare intorno al Partito Democratico, che in ogni caso ne rappresenterà l’asse centrale e il principale serbatoio di idee e di consenso».
L’articolo di Romano segnala di fatto un certo dibattito in corso tra i renziani ed è anche un richiamo a chi vorrebbe liberarsi del Pd: «I kamikaze gialloverdi non si estingueranno per cause naturali né si consumeranno in un falò autoprodotto, ma saranno sconfitti da una proposta di governo alternativa. E prima di buttar via il famoso bambino con la famosa acqua sporca, teniamoci stretto un partito che anche nel momento più difficile della sua giovane storia sta mostrandosi capace di restarne l’unico baricentro possibile». Ma basta parlare con qualcuno dei cinquecento sindaci che hanno firmato l’appello per la caninevitabile didatura di Minniti per accorgersi dello scollamento che c’è sul territorio fra la vecchia base renziana e il senatore del Pd. Molti di questi sindaci, peraltro, devono affrontare elezioni amministrative molto toste nel 2019.
È il caso di Dario Nardella, che infatti ha dato subito l’altolà a progetti scissionisti o autonomisti. «Firenze è il mio partito». I sindaci hanno già molti guai da affrontare e la Lega è troppo forte, anche in Toscana, per consentirsi il lusso di fare a meno dell’unico partito che hanno. «Giusto o sbagliato, è il mio partito», dicono alcuni di loro. A questo punto che accade? «A questo punto — ha scritto in un post su Facebook l’ex assessore Massimo Mattei — non vedo grandi possibilità per la componente renziana se non quella di chiedere al proprio leader di scendere personalmente in campo contro Martina e Zingaretti in una sfida finalmente vera e non senza storia come le due precedenti. Se questo non accadrà vedo l’uscita dal fu Pd della componente vicina all’ex segretario».
Il ragionamento di Mattei, uno che conosce bene il mondo renziano, è interessante e merita di essere letto: «Il crearsi un nuovo soggetto politico che partendo dal 4/5 per cento si allei con le truppe in rotta della fu Forza Italia per formare un partitino presentabile in Europa, di gente a modo, vestita benino che sa quale forchetta usare a tavola. Un partitino che può arrivare all’8 per cento su una piattaforma antisovranista che non può che allearsi con il fu Pd. Perché gli altri lo schiferanno. Si voleva cambiare l’Italia, si salva il culo a quaranta parlamentari. Se va proprio bene a cinquanta. Ma la politica è anche questa e la cosa non mi stupisce, anzi. Son queste le regole da sempre».
Se vogliamo, quella di Mattei è anche la disamina della missione politica incompiuta del renzismo. Ed è forse questo che spinge una parte dei renziani a restare nel Pd.
❞ Dice l’ex assessore Mattei: se Renzi non sfiderà Zingaretti e Martina l’uscita dal Pd sarà inevitabile, verso un nuovo soggetto politico Si voleva cambiare l’Italia, si salva il culo a 40 parlamentari