La salute non è in vendita Come difendere il sistema
«Dobbiamo difenderci da quelli che stanno cercando di smantellare il Sistema sanitario nazionale». L’appello del professor Giuseppe Remuzzi è il cuore del suo ultimo lavoro, il libro La salute (non) è in vendita
(Laterza), in cui il noto nefrologo guarda al futuro della sanità italiana raccontando rischi e opportunità di un sistema che, a 40 anni dalla sua nascita, è sì in crisi, ma ha ancora i mezzi per rialzarsi. Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, professore per chiara fama alla Statale di Milano e editorialista del Corriere della Sera e del
Corriere Fiorentino, racconta di un sistema minato da costi sempre più alti, per l’invecchiamento della popolazione e per cure innovative sempre più dispendiose, mentre in molti «spingono per privatizzare le strutture». Eppure, secondo l’autore, si dimentica che la sanità pubblica «lavora per migliorare la qualità delle cure e l’aspettativa di vita, che vuol dire anche più prevenzione, che porta però meno fatturato, meno esami radiologici, meno interventi chirurgici», e che «la logica del mercato non si applica all’impresa di salute, tant’è che i malati che non rendono li curano tutti negli ospedali pubblici». Remuzzi non prende di mira il privato «puro» ma ha obiezioni sul «convenzionato»: «Gli ospedali pubblici si devono occupare di tutto, le cliniche possono scegliere (…). Visto che paga, la Regione ha il diritto (forse il dovere) di entrare nel merito della gestione del privato convenzionato». Secondo il pamphlet, il convenzionato dovrebbe integrare il pubblico dove è carente, non esserne concorrente. Non sarà una presa di posizione ideologica? No, risponde lo stesso autore, perché un precedente storico esiste: «Un sistema che ha fatto di privato e mercato i suoi punti di forza è quello degli Stati Uniti, doveva dare buone cure ed essere efficiente: è successo tutto il contrario: i costi sono altissimi, la qualità delle cure è peggiorata e le persone che non hanno assistenza sono sempre di più (…). È di gran
lunga quello con le peggiori performance tra i paesi industrializzati». A confronto, il sistema Italia «non costa nemmeno tanto»: per curarsi un italiano spende 3.391 dollari all’anno, contro i 9.400 dollari di uno statunitense. Eppure i problemi della nostra sanità sono tanti. Come risolverli? «Se diamo tutto a tutti, anche quello che non serve, non potremmo più curare chi è davvero malato». La ricetta di Remuzzi è smettere di drogare la domanda. Per farlo è necessario smettere di sopravvalutare il problema delle liste d’attesa, perché «impegnare altri specialisti o aumentare le visite porta a una riduzione delle liste nel breve periodo, ma in poco tempo il sistema si riorganizza su un nuovo livello di domanda». Insomma, se si possono fare più risonanze, i pazienti ne faranno di più. Il rischio, per l’autore, è che lo sforzo per abbattere le liste d’attesa porti via troppe risorse al sistema, e quindi alle cure di chi è davvero malato. Bisogna fissare le priorità e «una signora di 38 anni che vuol sottoporsi a una mammografia, se non ha problemi può aspettare». La cura di Remuzzi tocca molti punti: dare priorità ai malati più gravi, eliminare le richieste di prescrizioni inutili, rendere pubblico il ruolo dei medici di famiglia in modo che si associno e lavorino h24 per ridurre gli accessi ai pronto soccorso, evitare cure «innovative» e costosissime che non hanno dimostrato più efficacia dei vecchi farmaci, puntare sulla prevenzione, evitare l’accanimento nei confronti di chi, invece che essere curato senza alcuno scopo, potrebbe spegnersi a casa anziché in corsia. E chiudere i piccoli ospedali per trasformarli in case della salute. Quello dei piccoli ospedali è un tema centrale del libro: costano e «non danno garanzia di buone cure» sottraendo risorse al sistema. Meglio concentrare, secondo l’autore, anche perché oggi i ricoveri sono brevi, spostarsi più lontano da casa per un famigliare significa spesso farlo per pochi giorni, non per mesi come in passato. E le comunità che resterebbero senza ospedale, andrebbero risarcite con incentivi per creare centri di degenza per anziani, malati cronici, di cui ci sarà sempre più bisogno. Remuzzi lancia un’invettiva contro l’intramoenia. Per ragioni etiche. «Non deve succedere che, all’interno della stessa struttura, chi ha possibilità economiche possa essere curato prima e meglio». I medici che non lo accettano, secondo Remuzzi, possono andare nel privato. Meglio assumere giovani dottori. La salute (non) è in vendita mette infine le mani avanti contro le spending review, i tagli lineari, perché per ridurre i costi bisogna investire in alcuni servizi per ridurre le necessità di altri, bisogna spendere per fare ricerca (che nel lungo periodo genera grandi risparmi). Del resto, la quota di spesa sanitaria del Pil è in caduta libera. Il trend va invertito, altrimenti entro il 2020 l’Italia scenderà sotto il 6,5 per cento indicato dall’Oms come la soglia minima per garantire un livello di cure adeguato.
Il bilancio dopo 40 anni
La logica di mercato non funziona, i malati che non rendono sono curati nel pubblico Il modello americano non ha migliorato cure e accessibilità