Pioli-Iachini, amici in panchina alla sfida del Franchi
Hanno giocato insieme sette anni (sei a Firenze), sono molto amici E domenica alle 15 si sfidano al Franchi
Nemmeno Batistuta e Rui Costa sono stati così tanto insieme: loro sei stagioni e la premiata ditta Pioli-Iachini sette, tra Verona e Firenze. Avrebbero continuato felici e contenti il rapporto, senza alcuna crisi del settimo anno, se da Palermo non fosse arrivata al trentenne Beppe una di quelle offerte che davvero non possono rifiutare.
Domenica alle 15 si sfideranno al Franchi, uno sulla panchina viola, l’altro su quella dell’Empoli. Diversi e compatibili, amici veri, anche se con il pudore tutto maschile di non sbandierarlo in continuazione. Molto lontani nel modo di intendere il calcio, pur avendo l’identico compito di impedire prima di tutto all’avversario di far male. Solo che Iachini era tutto grinta e un bel po’ di interventi al limite del regolamento, mentre Pioli sembrava quasi chiedere scusa se commetteva un fallo sul centravanti. Alle loro cure erano affidate le stelle del calcio mondiale che in quei campionati brillavano in Italia, da Maradona a Van Basten, tanto per citare i primi due che vengono in mente. Si incontrano nel 1987 a Verona, Beppe ha un anno in più ed è già quotato, l’altro in tre stagioni alla Juve ha giocato pochissimo, ma nello stile dentro e fuori dal campo ha imparato tantissimo da Scirea. Diventano presto delle sicurezze e proprio la Juve nel 1989 li preleva insieme a Volpecina dagli scaligeri per mandarli a Firenze in un’operazione che pare sul momento misteriosa e che invece altro non è, insieme a Buso, che l’acconto per avere dodici mesi più tardi Baggio a Torino. E proprio il legame con Roberto sarà tra le cose che conserveranno a lungo nella memoria, soprattutto Iachini, vera e propria vittima predestinata del Divin Codino. Succedeva infatti che in allenamento il fuoriclasse viola lo puntasse sempre, per saldi tarlo spesso non con un dribbling qualsiasi, ma con il tunnel, cioè il massimo dell’irriverenza.
A quei tempi i campini erano aperti a tutti e fa quasi tenerezza ricordare oggi l’arrabbiatura di Beppe, che un paio volte perse la pazienza e si mise a rincorrere Roberto. Con Stefano invece il futuro Pallone d’Oro non ci provava mai col tunnel e non si sa se per paura di non farcela o perché il compagno gli avrebbe dato meno soddisfazioni.
Insieme hanno avuto sette allenatori molto diversi tra loro: Giorgi, Graziani, Lazaroni, Radice, Agroppi, Chiarugi, Ranieri e non è difficile immaginare che sia stato proprio quest’ultimo ad avergli insegnato di più per la loro futura carriera, specialmente nella gestione del gruppo. Loro comunque erano il prototipo del calciatore che qualsiasi allenatore avrebbe voluto avere: mai una polemica o una frase di troppo, anche quando, ma succedeva raramente, finivano in panchina. Il popolo viola ha certamente amato più Beppe di Stefano e solo per lui è stato rispolverato il grido di battaglia coniato negli anni Settanta dalla Fiesole per il fiesolano Alessio Tendi: «Picchia per noi Beppe Iachini». Stefano era più dotato tecnicamente e anche più sfortunato perché avrebbe meritato la Nazionale se a Perugia nel 1990 nel ritorno della semifinale Uefa col Werder Brema non gli fosse saltato il ginocchio. Insieme hanno vissuto due esperienze indimenticabili e negative che è un po’ come aver fatto il militare nella stessa caserma: sono retrocessi in B nel 1993 con una squadra di livello europeo e hanno perso senza meritarlo una finale Uefa contro la Juve nel 1990.