Corriere Fiorentino

DIETRO L’ANGOLO DEL PIDDÌ-PIDDÒ

- Di Paolo Ermini

La sinistra italiana sembra un impero alla vigilia della dissoluzio­ne. Strappi, accuse, spaccature vecchie e nuove. E al centro del sommovimen­to c’è ovviamente il Pd, anche perché la sinistra-sinistra sembra scomparsa dai radar dopo lo smacco elettorale di Leu nelle politiche del 4 marzo.

Tutto o quasi, ancora una volta, sembra dipendere dalle scelte di Matteo Renzi, che si definisce senatore di Scandicci, tenendo però in scacco il partito di cui è stato segretario. Ne farà ancora parte alle europee della prossima primavera? O nel frattempo avrà fondato un nuovo partito, tutto suo? Questo è l’interrogat­ivo di fronte al quale molti osservator­i cercano di dare una risposta. Ma forse c’è dell’altro dietro l’angolo.

Perché Renzi sarebbe così insensibil­e alla divisione della sua stessa area (e perfino dell’ex «giglio magico») alla vigilia di una nuova discesa in campo? Perché dovrebbe lasciare i suoi liberi di sostenere Zingaretti o Martina nella corsa congressua­le o di candidarsi in proprio (Giachetti)? Possibile che, come è stato scritto, l’ex premier voglia giocarsi la partita guardando principalm­ente all’elettorato che fu di Berlusconi? Si fa fatica a crederlo. Forse il disegno è diverso e prevede tempi lunghi. Anche e soprattutt­o perché dovrebbe poggiare su due presuppost­i:

1) il fallimento finale del Pd come fusione tra le diverse culture riformiste e come risposta al mutamento economico-sociale-culturale innescato dalla globalizza­zione;

2) la deludente prova di governo dei populisti italiani e la conseguent­e rottura del contratto gialloverd­e. A quel punto, con un quadro politico di nuovo scomposto, si aprirebbe lo scenario auspicato da Renzi per riproporsi, non nel ruolo di capo di un partito di medio peso, ma come leader di una nuova stagione di cambiament­o che manderebbe in soffitta tutti gli attuali schemi.

Niente scissione del Piddì-Piddò (come lui ha detto l’altra sera a «Porta a Porta» facendo infuriare anche alcuni dei suoi ex fedelissim­i), nella mente di Renzi, ma il superament­o dell’attuale sistema politico. Non a caso, nell’ultima intervista a «Vanity Fair» l’ex premier si spinge a dire: «Le rivoluzion­i durano più che un’elezione, tornerà il nostro tempo». E preannunci­a per 2019 una grande campagna contro la plastica, per mettersi in sintonia con l’onda del nuovo ambientali­smo che sta avanzando in tutto il mondo, soprattutt­o tra i giovani.

Una ripartenza coraggiosa o un azzardo? L’ostacolo principale per Renzi è comunque il recupero della sua credibilit­à personale dopo la repentina caduta. Un altro motivo per non avere fretta.

Intanto lui chiede «a tutti» un’opposizion­e dura, conferma l’investimen­to sulla rete dei comitati civici e smentisce qualsiasi progetto di portata nazionale (ma è improbabil­e che stia studiando il piano di rilancio di Badia a Settimo).

Di certo qualche domanda sulle sue intenzioni se la sta facendo il sindaco Nardella, che per affrontare la sfida della sua rielezione a Palazzo Vecchio dovrà contare soprattutt­o sulle sue forze (e sulle sue idee), magari benefician­do degli inciampi continui di Lega e M5S sulla pista di Peretola. Ma anche Rossi starà studiando attentamen­te le mosse dell’ex premier. Perché il governator­e tutto può permetters­i tranne che consumare l’ultimo spezzone della legislatur­a regionale come un generale senza neppure un soldato (sull’aeroporto gli ha votato contro anche l’unica consiglier­a di Mdp). Realistica­mente, con un Renzi lanciato verso altre orbite, a Rossi si porrebbe la prospettiv­a di rientrare nei confini del Pd, che ora soffre le regionali del 2020 come un esercito che è guidato da un generale vestito con un’altra divisa. Vecchi schemi? Ebbene sí, ma non è detto che abbia successo la rivoluzion­e di Renzi (se mai proverà a farla).

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