Tobino, un maestro di empatia
Domani a Viareggio un convegno dedicato al grande psichiatra. Ci sarà anche la nipote Isabella «Dalla sua Versilia è stato un pioniere dell’approccio fenomenologico al paziente, fatto di amore e pazienza»
Ricchissima di fermenti culturali, la Toscana dei primi cinquant’anni del Novecento ebbe nella Versilia un laboratorio di affaccendata creatività. Qui, da Viareggio al Forte, con intrecci lucchesi, garfagnini e apuani — mare e boschi, sabbia e marmo — variegate schiere di artisti e letterati vissero o trascorsero indimenticabili vacanze, partorendo pensieri, poesie, romanzi, dipinti, incontrandosi e scontrandosi, tra cordiali amicizie e litigate furiose. Qualche nome? Prima di tutto d’Annunzio e Puccini, e poi una vera folla gloriosa e variopinta: Viani, Papini, Prezzolini, Soffici, Pea, Maccari, Malaparte, Longanesi, Montale, Ungaretti, Luzi, Moravia…
Ed ecco ora un convegno per ricordare, grazie a prestigiosi relatori, alcuni scorci di quel vivace paesaggio umano e intellettuale, centrando l’attenzione su un protagonista degli «anni ruggenti»: Mario Tobino, psichiatra, poeta, romanziere («Dalla parte del mare. Tobino e la Versilia nel Novecento», a cura di Giulio Ferroni, coordinamento di Marco Natalizi, GAMC, Palazzo delle Muse, Piazza Mazzini, venerdì 14 dicembre, ore 11).
Alla nipote, Isabella Tobino, chiediamo prima di tutto di parlarci della Fondazione, intitolata all’illustre zio.
«È nata nel 2006 dalla volontà dell’allora presidente della provincia, Andrea Tagliasacchi, e degli eredi di Tobino, con l’intento di valorizzare una eredità culturale e umana che, a seguito delle polemiche sviluppatesi intorno alla 180 — la legge Basaglia sui manicomi— era stata etichettata come retrograda e conservatrice».
Dunque un archivio della memoria e un laboratorio culturale…
«Sì, e le attività che promuoviamo, come questo convegno, hanno proprio lo scopo di incidere sul presente, contribuendo, attraverso la conoscenza della positività del passato, a tracciare la strada per un futuro migliore». Positività? In che senso? «Dagli scritti di Tobino vien fuori un messaggio di libertà, di amore per la vita, di impegno nei confronti del diverso, di lealtà, di positività, appunto, fondamentale in un mondo che tende alla negatività. Sapesse quanti, incontrandomi o recandosi alla storica farmacia in Piazza del Mercato, a Viareggio, chiedono come fare a trovare le sue poesie o testi non più editi e ormai difficilmente reperibili!».
Insomma, uno scrittore tutto da riscoprire. E il medico di manicomio quale eredità ha lasciato?
«L’insegnamento che ricaviamo dai suoi libri è quanto mai attuale nel suo approccio fenomenologico al paziente. Lo psichiatra Eugenio Borgna gli dedica un intero capitolo in una delle sue ultime pubblicazioni (Le passioni fragili, Feltrinelli, 2017), citandolo ampiamente e affermando che “in psichiatria non c’è cura se non attraverso una relazione interpersonale che avvicini i pazienti con partecipazione emozionale, e, come diceva Ludwig Binswanger, con pazienza ed amore”. Ed ancora Borgna ci ricorda come per Tobino sia necessaria “una psichiatria dell’ascolto, che si confronta con la disperazione e il dolore indicibile dell’anima, immergendosi in una febbrile partecipazione al destino umano dei pazienti”. Ecco il valore più alto della sua testimonianza».
Parliamo un po’ della vocazione letteraria. Quando si manifesta? Ci fu qualche amico a stimolarla?
«I primi amici di Tobino furono i figli dei marinai con cui giocava e faceva a cazzotti nel piazzone. Sono stati loro a rafforzargli nell’animo l’amore per il mare e la libertà».
E poi?
«Poi, a vent’anni — ma forse lo conosceva già dai tempi delle elementari — strinse un’amicizia che durerà tutta la vita con Marco Marcucci, giovane e promettente pittore, e con il poeta Luca Ghiselli con cui si ritrovava in un capanno sulla spiaggia a sognare glorie future. Contemporaneamente leggeva con avidità riviste dell’anarchismo ribelle come L’Italiano di Leo Longanesi e Il Selvaggio di Mino Maccari. Proprio sul Selvaggio pubblica la prima poesia. L’amico Maccari lo porta con sé al Forte per fargli conoscere Soffici. Nasce un’immediata, reciproca simpatia: passano insieme il pomeriggio e poi Soffici lo riaccompagna al tram per Viareggio».
Viareggio gli vuol bene. Il Premio Viareggio un po’ meno…
«Il rapporto fu turbolento. Nel ’52 Tobino partecipa con Il deserto della Libia, ma viene escluso per antipatie politiche ed editoriali. Nel ’53 ritira Le libere donne di Magliano per non sottomettersi a una giuria che ritiene pregiudizialmente orientata. Nel ’66 Sulla spiaggia e di là dal molo partecipa alla selezione del premio ma viene escluso per l’ostilità di Repaci, Piovene e Debenedetti contro cui nulla può l’appoggio di Ungaretti. Finalmente, nel ’66, vince il “Viareggio” con La bella degli specchi, un libro scritto su Lucca, ormai sua patria adottiva. Ho voluto ricordare queste vicende perché non sempre conosciute e perché vorrei che la partecipazione al nostro convegno della professoressa Costa, presidente del “Viareggio”, segnasse l’avvio di una nuova vitalità del premio, magari pensando anche alla possibile collaborazione con la Fondazione».