«Il ministro fa confusione tra pene e misure cautelari»
L’INTERVISTA
«Inasprire le pene per il reato di spaccio di stupefacenti non cambierebbe nulla per quel che riguarda le norme sulla carcerazione preventiva», dice il professor Paolo Caretti, ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Firenze, secondo cui sul caso dei pusher di Pisa «il ministro Matteo Salvini fa confusione».
«Il ministro Matteo Salvini fa confusione. Inasprire le pene per il reato di spaccio di stupefacenti non cambierebbe assolutamente nulla per quel che riguarda le norme sulla carcerazione preventiva». Il professor Paolo Caretti, ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Firenze, interviene sul caso della scarcerazione dei ventidue presunti spacciatori avvenuta giovedì a Pisa e sulle successive polemiche sollevate dal ministro dell’Interno.
Professor Caretti, cosa non le torna nel ragionamento di Salvini?
«Un conto è la pena, altro conto è la misura cautelare. Il caso di cronaca non si riferisce a persone che sono state rilasciate dopo la condanna. Le misure cautelari intervengono prima del processo e della condanna. Le pene intervengono dopo. Nella fase delle indagini preliminari si può chiedere al gip una misura cautelare, non l’applicazione della pena».
Vale a dire che, in questa fase, non interviene il codice penale ma il codice di procedura penale?
«Certo. Quanto alle pene per gli spacciatori, basse, medie o alte che siano, alzarle non risolverebbe il problema contestato da Salvini. Il gip ha semplicemente ritenuto che non ci fossero le condizioni per la misura cautelare in questa fase delle indagini. Insomma, non cambierebbe niente».
A suo giudizio sarebbe opportuno riformare il codice di procedura penale, cambiando le norme sulla carcerazione preventiva, o al contrario l’attuale sistema di garanzie è giusto?
«Abbiamo un codice di procedura penale relativamente recente, che dal 1989 ha innovato molto rispetto al codice precedente. Oggi all’inizio delle indagini a carico di un soggetto, c’è la possibilità che il pm chieda al gip l’applicazione di una misura cautelare. Questa misura può essere disposta se c’è pericolo di fuga, di reiterazione del reato, di inquinamento delle prove... Allora vengono applicate le misure più varie, non solo il carcere: ci sono l’obbligo di soggiorno, il ritiro del passaporto, i domiciliari... Dipende da caso a caso».
Prima del 1989 come funzionava?
«C’erano meno garanzie per l’indagato, il codice riduceva possibilità di difendersi e non c’era gradualità di misure, c’era solo il carcere. Da allora si sono ampliate le garanzie per gli indagati. Se si vuole un codice meno garantista basta tornare indietro». E lo ritiene auspicabile? «Dobbiamo sempre ricordare che queste norme incidono sulla libertà personale degli individui. Le garanzie sono poche, sono troppe? Non dimentichiamo che fino al 1989 molti si lamentavano che avevamo un codice di procedura penale troppo autoritario che risaliva al periodo pre-costituzionale. Teniamo conto che queste garanzie valgono per tutti, non solo per gli spacciatori. E il principio è che un indagato è un indagato, la gravità del reato sarà accertata in dibattimento. Vogliamo tornare indietro? Se i politici ritengono di volere un codice meno garantista per la libertà degli individui, se ne assumano la responsabilità».
La Lega ha fatto parte per anni di un centrodestra garantista, che accusava i magistrati di autoritarismo, di fare eccessivo ricorso al carcere preventivo. Siamo al cambio di paradigma?
«Devo essere sincero, non ricordo la Lega schierata
I codici
Alzare le pene non risolverebbe il problema contestato da Salvini, che invece riguarda le condizioni per le misure cautelari
La storia
Non è vero che le pene sono andate sempre riducendosi: anche di recente per certi reati si invocano pene maggiori, come per il femminicidio
L’equilibrio
Sulle scarcerazioni bisogna mettersi d’accordo: non possiamo chiedere garanzie solo quando sotto processo ci sono persone a noi vicine
apertamente su questi temi: Forza Italia ha aperto la polemica tra garantisti e giustizialisti, la Lega è sempre stata defilata, preferiva temi come il federalismo o il Roma ladrona».
Riguardo al possibile inasprimento delle pene, quella di Salvini è una proposta che va in controtendenza rispetto agli ultimi decenni?
«Nella nostra storia repubblicana non c’è una linea retta di sviluppo. Quando negli anni ‘80 abbiamo avuto il terrorismo interno, abbiamo avuto misure eccezionali per far fronte a una situazione eccezionale. Il contesto politicosociale cambia: aggravare o meno una pena non è dipeso dal ghiribizzo dei politici, ci sono stati periodi in cui i due codici hanno attenuato certe garanzie per far fronte a certi fenomeni. E dal 1948 le pene non sono andate sempre riducendosi: anche di recente, per certi reati si invocano pene maggiori, come per il femminicidio, o ad esempio è stato introdotto il reato di omicidio stradale. Sono singoli fenomeni per i quali si propongono nuovi reati o pene più gravi. Non mi pare che da nessuna parte ci sia la volontà di aumentare le pene per tutti i reati. Anche perché non avremmo neppure le carceri per contenere i condannati».
Oltre a quello carcerario, c’è un problema legato al processo penale? Salvini ha invocato spesso la certezza del diritto: non pensa che sia minata dall’eccessiva durata dei processi?
«A me pare che il problema più grosso resti quello della giustizia civile, lo è molto meno quello della giustizia penale, almeno fino alla sentenza di primo grado. Dopodiché non c’è più la carcerazione preventiva, perché opera la sentenza di assoluzione o di condanna, che in certi casi prevede il carcere. Ma una cosa è certa, quando sento gridare allo scandalo per una scarcerazione ci dobbiamo mettere d’accordo: non possiamo chiedere garanzie solo quando il processo riguarda persone che conosciamo e poi chiedere che non ci siano le stesse garanzie quando siamo le vittime di un reato. La legge deve essere uguale per tutti, altrimenti ci sarebbero dei rischi enormi».