I servizi in sciopero (più del contratto servono politiche)
Caro direttore, i sindacati nazionali dei settori acqua, gas ed elettrico (Filctem-Cgil, Femca-Cisl, Flaei-Cisl e Uiltec-Uil) hanno indetto una giornata di sciopero, lunedì 17 dicembre, sulla politica industriale e non per il contratto. Una importante novità, in questa fase politica, in Italia. Destinatario dello sciopero è il governo, colpevole di azioni che avrebbero, per i sindacati, un effetto devastante sull’industria idrica ed energetica nazionale e sui lavoratori il cui rapporto è regolato dai contratti collettivi nazionali di lavoro (gas, acqua e elettrico). I sindacati denunciano una manovra di indebolimento dell’industria idrica. La proposta di riforma della legge sul servizio idrico integrato in discussione in Parlamento per la «ripubblicizzazione dell’acqua» prevede la trasformazione dei gestori pubblici in consorzi o aziende speciali e niente più società per azioni. Nemmeno interamente pubbliche. Un’ipotesi che, denuncia il sindacato, farebbe tornare indietro di trent’anni l’orologio dell’industria idrica, restituendo praticamente ai lavoratori del settore la qualifica di dipendenti pubblici, con le immaginabili conseguenze. Soluzione che renderebbe molto difficili gli investimenti previsti, con danni quindi all’indotto, al settore delle opere pubbliche e ai lavoratori collegati. Una preoccupazione assolutamente condivisibile e frutto solo di un approccio ideologico ed identitario: il servizio idrico italiano ha bisogno di più industria, non di meno, ed il ritorno a moduli pubblici superati dalla storia sarebbe davvero assurdo. Il governo ha inoltre proposto di togliere gli incentivi alla geotermia, un comparto industriale nazionale florido, fatto di imprese eccellenti, di migliaia di lavoratori e grazie al quale abbiamo raggiunto gli obiettivi europei per le fonti rinnovabili in anticipo sulla scadenza del 2020. Togliere gli incentivi significa chiudere questo comparto industriale e rendere molto difficile il raggiungimento dei nuovi obiettivi di rinnovabili appena decisi dall’Europa per il 2030. Allarme assolutamente comprensibile anche questo, frutto sempre di un approccio identitario ed ideologico, che guarda più al consenso elettorale di piccoli gruppi locali (del no a tutto) che ad una sana ed efficace strategia nazionale energetica, finalizzata a combattere il cambiamento climatico, vera e propria emergenza ambientale di questi anni.