L’INVIDIA SANITARIA
Fra tutti i modi per rovinarsi l’esistenza ce n’è uno più sicuro degli altri: essere invidiosi. Chi è geloso della fortuna altrui forse può riuscire a guastare la vita a chi odia, ma di certo rovina la sua. Per questo i genitori di una volta insegnavano a guardare a chi sta peggio di noi, apprezzando quello che si ha. L’illustrazione di un vecchio sussidiario raffigurava un bambino ricco relegato su una sedia a rotelle e un bambino povero giocare felice a palla: un modo plastico di far capire che non sempre chi ci pare più fortunato lo è davvero. Certo, può esistere un’invidia costruttiva, parente stretta di una legittima ambizione; ma nella vita quotidiana prevale un torvo risentimento. Prodotto dell’invidia fu nell’antica Atene l’istituto dell’ostracismo, espressione, come scriveva il grande storico Jacob Burckhardt, dell’«odio dei sicofanti e del demos verso chiunque valesse qualcosa». La rivoluzione informatica ha regalato al rancore sociale una marcia in più, offrendo a chiunque la possibilità di conoscere tutto di tutti e di esprimersi su tutti in tempo reale. Non ci si vendica più scrivendo su un coccio (in greco appunto óstrakon) il nome del nemico da bandire, ma infamandolo nel complice anonimato del web. Vittima di questa campagna d’odio è stato a Firenze il cardiochirurgo Pierluigi Stefàno, «colpevole» di essere arrivato terzo nella classifica dei redditi dei medici di Careggi, grazie all’attività intra moenia. Poco importa che il mezzo milione scarso guadagnato sia inferiore agli ingaggi di molti calciatori, anche se salvare una vita è forse più importante che fare gol. E poco importa che un medico e in particolare un chirurgo cominci a guadagnare superati i trent’anni, dopo selettivi test d’accesso, studi severissimi, anni di specializzazione e di faticosa gavetta. A rendere la categoria dei sanitari particolarmente vulnerabile agli odiatori seriali contribuisce oltre tutto un altro fattore, anch’esso legato agli sviluppi di internet. La possibilità di acquisire informazioni su tanti siti specialistici lascia a molti l’illusione di sapere già tutto, sminuendo la professionalità degli specialisti: c’è chi va dal medico con la diagnosi già pronta, pronto a coglierlo in fallo se non conferma quanto dice «Wiki». Ma conoscere non è sapere e sapere non sempre è capire. Per gli asociali odiatori dei social è sempre in agguato il rischio di finire come i Borboni di Francia dopo la Restaurazione, che ricordavano tutto, ma non avevano imparato nulla.