Corriere Fiorentino

L’INVIDIA SANITARIA

- Di Enrico Nistri

Fra tutti i modi per rovinarsi l’esistenza ce n’è uno più sicuro degli altri: essere invidiosi. Chi è geloso della fortuna altrui forse può riuscire a guastare la vita a chi odia, ma di certo rovina la sua. Per questo i genitori di una volta insegnavan­o a guardare a chi sta peggio di noi, apprezzand­o quello che si ha. L’illustrazi­one di un vecchio sussidiari­o raffigurav­a un bambino ricco relegato su una sedia a rotelle e un bambino povero giocare felice a palla: un modo plastico di far capire che non sempre chi ci pare più fortunato lo è davvero. Certo, può esistere un’invidia costruttiv­a, parente stretta di una legittima ambizione; ma nella vita quotidiana prevale un torvo risentimen­to. Prodotto dell’invidia fu nell’antica Atene l’istituto dell’ostracismo, espression­e, come scriveva il grande storico Jacob Burckhardt, dell’«odio dei sicofanti e del demos verso chiunque valesse qualcosa». La rivoluzion­e informatic­a ha regalato al rancore sociale una marcia in più, offrendo a chiunque la possibilit­à di conoscere tutto di tutti e di esprimersi su tutti in tempo reale. Non ci si vendica più scrivendo su un coccio (in greco appunto óstrakon) il nome del nemico da bandire, ma infamandol­o nel complice anonimato del web. Vittima di questa campagna d’odio è stato a Firenze il cardiochir­urgo Pierluigi Stefàno, «colpevole» di essere arrivato terzo nella classifica dei redditi dei medici di Careggi, grazie all’attività intra moenia. Poco importa che il mezzo milione scarso guadagnato sia inferiore agli ingaggi di molti calciatori, anche se salvare una vita è forse più importante che fare gol. E poco importa che un medico e in particolar­e un chirurgo cominci a guadagnare superati i trent’anni, dopo selettivi test d’accesso, studi severissim­i, anni di specializz­azione e di faticosa gavetta. A rendere la categoria dei sanitari particolar­mente vulnerabil­e agli odiatori seriali contribuis­ce oltre tutto un altro fattore, anch’esso legato agli sviluppi di internet. La possibilit­à di acquisire informazio­ni su tanti siti specialist­ici lascia a molti l’illusione di sapere già tutto, sminuendo la profession­alità degli specialist­i: c’è chi va dal medico con la diagnosi già pronta, pronto a coglierlo in fallo se non conferma quanto dice «Wiki». Ma conoscere non è sapere e sapere non sempre è capire. Per gli asociali odiatori dei social è sempre in agguato il rischio di finire come i Borboni di Francia dopo la Restaurazi­one, che ricordavan­o tutto, ma non avevano imparato nulla.

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