Il rettore della Sant’Anna «Politica sì, ingerenze no»
Scuola Sant’Anna, il bilancio del rettore Perata: «Qui tutto è filato liscio, l’epilogo alla Normale...»
La Normale è ancora PISA scossa dalla vicenda delle dimissioni del direttore Vincenzo Barone, ma duecento metri più a est, alla Scuola Superiore Sant’Anna, tutto fila liscio. Il rettore Pierdomenico Perata, ordinario di fisiologia vegetale, è giunto a scadenza naturale soddisfatto per i risultati conseguiti nei sei anni di mandato. Tre i candidati alla successione: i due interni Piero Castoldi e Sabina Nuti, oltre all’esterno Eugenio Guglielmelli, dell’Università Campus Bio-Medico di Roma.
Professor Perata, lei ha conquistato notorietà per la ricerca sul Sun-Black, il pomodoro nero che sembra una melanzana, ricco di antociani dal potere antiossidante. Ne va fiero?
«È stata una ricerca di buon livello ma non la migliore che abbia fatto. Però il lavoro ha captato l’attenzione dell’opinione pubblica e questo un po’ m’imbarazza, in ambito scientifico sono conosciuto per ben altro».
Da ricercatore a rettore: per lei è cambiata la vita.
«Sì e no. È cambiata perché ho dovuto imparare a fare un altro mestiere, per il quale non esiste una preparazione specifica. La vera sfida è stata dirigere per sei anni la Scuola Sant’Anna continuando a fare attività scientifica, benché con qualche penalizzazione. Sono anche soddisfatto per aver continuato a insegnare, senza ridurre le ore di didattica come avrei potuto fare».
Cosa le è riuscito meglio e cosa peggio?
«Domanda che andrebbe fatta agli altri (ride). Mi rincresce di non essere riuscito ad aprire il cantiere del campus di San Giuliano Terme: il progetto per la costruzione dei due primi edifici è finanziato, tutto è fermo per un ricorso al Tar. Ma pazienza, l’Italia è soffocata dalle norme sugli appalti che porteranno al declino della macchina statale: le somme accantonate restano inutilizzate quando il nostro Paese avrebbe bisogno di spesa pubblica. Di converso sono soddisfatto della concordia che ha regnato nel Senato accademico in questi sei anni. All’inizio ero preoccupato di dover passare le giornate a risolvere i conflitti, invece tutto è filato liscio».
Un clima diverso rispetto a quello della Scuola Normale nelle ultime settimane. Come valuta quanto è accaduto?
«Sono dispiaciuto per l’epilogo, che faccio fatica a spiegarmi perché non conosco le ragioni che stanno dietro al malcontento che si è manifestato. Il mio rapporto con il professor Vincenzo Barone è sempre stato franco e grazie alla sua schiettezza siamo riusciti a costruire cose difficili, come la federazione tra due Scuole separate da più di 50 anni. Quanto è accaduto a valle del progetto di Napoli, in tutta franchezza, mi risulta misterioso».
Non trova che vi sia stata un’eccessiva invadenza della politica?
«È molto discutibile che un’amministrazione, come ha fatto quella di Pisa, entri in decisioni e interferisca con questioni che nulla hanno a che fare con la gestione di un Comune. E nemmeno capisco perché il ministero abbia dato ascolto alle rimostranze campanilistiche sul nome della Normale associato a Napoli. Ma credo che la discussione interna alla Normale e le dimissioni del direttore poco c’entrino con quest’aspetto. Al direttore sono state contestate altre cose, estranee al progetto in sé. Di cui non so nulla».
Visto come è finita, secondo lei è pensabile un’autonomia del mondo accademico rispetto alla politica?
«La risposta è no, perché facciamo parte della pubblica amministrazione. Il nostro vertice è rappresentato dal ministro dell’Università e della Ricerca, che è un politico e che svolge il proprio mandato in base all’indirizzo del governo. Le dirò: la politica deve occuparsi di università e di ricerca. Se poi per ingerenza della politica intendiamo la pressione campanilistica di un sindaco su un ministro, parliamo di un’altra cosa. Nel caso della Normale, alla fine, le decisioni non le ha prese il sindaco di Pisa ma il ministro dell’istruzione, il quale è titolato per farlo. Se Michele Conti andasse al Miur a perorare le cause del sistema universitario pisano, staremmo a parlare di interferenza?».
Non risulta che l’abbia fatto. Forse, in futuro...
«Spero che ci vada. Se la politica locale vuole occuparsi del sistema universitario locale per aiutarlo a crescere, bene. Nel caso sia invece animata da spinte campanilistiche, dobbiamo esser critici. In questo senso l’intervento del sindaco Conti sulla Normale è stato totalmente fuori luogo. La Normale, al pari di altre università, non è un brand, un franchising della formazione e quindi non capisco come si possa difendere qualcosa che apparterebbe a Pisa a partire dal nome».
Passiamo ad altro. La Scuola Sant’Anna è tra i primi 10 piccoli atenei al mondo e al vertice in Italia, il ranking del «Times» la classifica al 153° posto nella graduatoria generale: un risultato conseguito nei sei anni in cui lei è stato rettore. Ma è possibile entrare tra i primi cento?
«Il Sant’Anna ha questa ambizione, ma bisogna essere realisti: come fa l’Università italiana a essere competitiva con 7 miliardi d’investimento complessivo rispetto agli oltre 20 della Germania? Le ristrettezze finanziarie si ripercuotono sulla possibilità di reclutare professori, costruire laboratori, finanziare la ricerca. La scalata delle posizioni, anche per il Sant’Anna, trova un limite oggettivo nel sotto-finanziamento strutturale del sistema universitario italiano. In un quadro del genere i risultati, migliori o peggiori, sono legati al modo in cui si riesce a spendere le poche risorse disponibili. Credo che noi le abbiamo spese bene. Potremmo fare meglio con un finanziamento adeguato ai risultati che abbiamo dimostrato di saper raggiungere».
Cosa lascia al suo successore?
«Sei anni di lavoro da fare, progetti realizzati da valorizzare e altri avviati. Ho visto i nomi dei candidati, tutti di alto livello al pari dei programmi. Sono in continuità non tanto con me, quanto con i 30 anni di crescita e sviluppo della nostra scuola».
Pisa-Roma Conti doveva occuparsi del sistema universitario locale, non di campanili Pisa-Napoli La Normale non è un brand, non si difende una cosa che già è di Pisa Pisa-Londra Per il Times siamo al 153° posto, con più fondi possiamo entrare nei 100