M5S, governare stanca (accade anche a Livorno)
Governare stanca. Soprattutto i 5 Stelle, che hanno fatto dell’atteggiamento antisistema il tratto distintivo.
di marzo era al 32,7 per cento. Governare stanca tutti ma chi ha costruito le proprie fortune politiche sull’opposizione all’establishment, peraltro con toni feroci e giacobini, non può concepire alcun compromesso. E questo governo è un compromesso fin dalla sua nascita, e a poco servono le operazioni di maquillage di Di Maio, che si dibatte e si dimena e tenta di mettere il cappello sui gilet gialli francesi, ricevendo in cambio la più atroce (per lui) delle risposte, il più feroce dei contrappassi: noi non parliamo con i politici.
Fare l’anti-establishment essendo ormai parte dell’establishment è parecchio difficile. Come nota Pietro Salvatori, «i Cinque Stelle sono ossessionati dai soldi: delle pensioni d’oro, dei vitalizi, dei banchieri, dei conduttori, dei finanzieri, delle lobby che al mercato mio padre comprò. Gli unici dei quali non parlano più sono i loro: in 10 mesi no rendicontazioni, no restitution day, no trasparenza».
Probabilmente ci saranno anche molti ipocriti ai quali semplicemente interessava punire chi c’era prima per invidia sociale; altri volevano invece pauperismo e trasparenza anche per i Cinque Stelle. Non che questi ultimi abbiano ragione eh, semplicemente è che a un certo punto, constatato che il Movimento Cinque Stelle è diventato un partito come tutti, punteranno su altro.
Questo non significa che quando governa da solo il M5S va alla grande, come dimostra il caso di Livorno, dove la Lega è in vantaggio nei sondaggi pur non facendo parte di alcuna alleanza con i Cinque Stelle di Filippo Nogarin. È che quando devi prendere decisioni inevitabilmente scontenti qualcuno. Il M5S ha funzionato per anni all’opposizione perché le sue contraddizioni potevano essere contenute in una moltitudine senza che ci si facesse caso, perché non governava. Ora però le contraddizioni sono doppie: al proprio interno e in virtù dell’alleanza con la Lega. I tentativi di barricarsi «a sinistra» — qualunque cosa voglia dire questa parola per i Cinque Stelle, che hanno una concezione pittoresca delle categorie politiche — non servono.
Per loro l’unica cosa che potrebbe funzionare è il fasciocomunista Alessandro Di Battista. Finito il lungo viaggio in Sudamerica, finiti (per ora) i reportage per il Fatto Quotidiano, finiti insomma i sette mesi lontano dall’Italia, Dibba è tornato in patria. Dice che aiuterà il Movimento Cinque Stelle alle Europee ma non farà parte del governo, d’altronde non vuole sprecare l’ultimo mandato a disposizione che gli rimane (nel Movimento vige la regola, per adesso ferrea poi chissà, del limite di due mandati) per una poltrona
Governare stanca tutti e in particolare il M5S che ha fatto dell’atteggiamento anti sistema il suo tratto distintivo E succede anche quando governano da soli, come a Livorno, dove la Lega è in vantaggio nei sondaggi
non sufficientemente prestigiosa.
Questo, naturalmente, vorrebbe dire sostituire Di Maio. Il quale dinanzi a sé ha anche un altro avversario: Beppe Grillo, che di recente è tornato a farsi sentire. Ha persino firmato un appello a favore della scienza e contro le panzane sui vaccini promosso da Roberto Burioni (Di Maio non ha apprezzato) e sul suo blog dà spazio alle posizioni dei grillini dissidenti. Quale sia il punto di caduta del ritrovato attivismo di Grillo non è chiaro, d’altronde l’ex comico è imprevedibile.
Il problema principale per i Cinque Stelle però rimane: mettersi un gilet giallo dopo essere entrati nel Palazzo è soltanto un vezzo. Dunque i primi ad aver costruito le premesse per il proprio auto-logoramento sono gli stessi Cinque Stelle, che dopo aver passato anni a spiegarci perché dei politici non ci si deve fidare adesso assaggiano la cicuta che hanno preparato per gli altri.