L’ascesa del ping-pong nella città dei cinesi, coi colpi di Fatai e Azeez
Due campioni nigeriani e il boom a Prato del tennistavolo
Fatai avrebbe desiderato una vita da terzino, ma la mamma gli nascondeva le scarpe, costringendolo a praticare un altro gioco per le strade polverose di Lagos. Azeez, per scappare da quelle strade, aveva intagliato un pezzo di compensato e si era procurato una piccola racchetta, quanto bastava per respingere la pallina al di sopra dell’asse di legno che fungeva da rete. Forse le vie del pingpong non sono infinite, ma certamente portano molto lontano. Dalla Nigeria all’Italia, giocando a tennistavolo, scegliendo lo sport come impasto naturale per costruirsi un futuro e un riscatto sociale, Fatai Adeyemo e Azeez Jamiu fanno oggi sognare con spettacolari colpi di flick e top-spin il Circolo Prato 2010, primo in classifica della serie A/2 maschile dopo il girone d’andata.
Alto, longilineo, Fatai ha 57 anni, una tecnica sopraffina e una longevità agonistica impressionante. È stato numero 72 al mondo, ha partecipato a Mondiali e Giochi Olimpici, ed è in Italia dal 1988. Prima Messina, poi Palermo, Siracusa, Senigallia, Bologna e Siena (dove oggi risiede, lavorando in un circolo del tennis come addetto ai campi). «In Nigeria il ping-pong è uno sport popolare — racconta Fatai — io volevo giocare a calcio ma rientravo sempre a casa con le ginocchia sanguinanti. Mia mamma cominciò a nasconsemmai dermi le scarpe, in pratica mi obbligò a scegliere il tennistavolo. All’inizio è stata dura, ma forse adesso devo ringraziare lei se i miei figli hanno potuto studiare nelle università italiane e straniere». Azeez, 34 anni, è muscolare, esplosivo, dotato di un dritto micidiale. Numero 19 d’Africa, è arrivato a Prato quest’anno, dopo una carriera da pro- fessionista tra Stati Uniti, Francia, Germania e molta Spagna. Ondeggia il corpo mentre parla, come a narrare un’esistenza in perenne movimento. «Ho iniziato — spiega — con il ping-pong per le strade di Lagos, con una racchetta di legno e senza gomma sul telaio, me l’ero costruita io. Ero bravo, vincevo tanto, ma stavo fuori, come si dice da noi, per la strada. Un giorno arrivarono alcuni signori e mi proposero di andare in palestra per imparare. Mi consegnarono scarpe, pantaloncini e maglietta, perché io non avevo niente. Mi dissi che non sarei più dovuto uscire da quel nuovo mondo». Due africani a Prato, nella terra dei cinesi veri maestri di questa disciplina, sembra quasi un paradosso. «A Prato i cinesi pensano a fare soldi piuttosto che a divertirsi», l’analisi pungente di Giorgio La Rocca, manager e tecnico di una squadra ambiziosa in cui spicca anche l’ex numero 9 d’Italia Lorenzo Ragni. «Questi campioni non hanno bisogno di essere allenati quanto gestiti nei rapporti interpersonali. Il ping-pong è uno sport particolare, un po’ come correre i 100 metri giocando a scacchi».
Mandata in archivio l’apparizione nella Coppa Italia, la prossima mossa sarà inizierà con uno sprint deciso il girone di ritorno della A/2 che potrebbe regalare la promozione. L’atmosfera è di quelle frizzanti, l’attività intensa. Perché oltre alla prima squadra che gioca le gare interne alla palestra Le Fonti alle Badie, il club del presidente Emanuele Bartolini presenta una formazione di serie C, una di B, quattro di D, e un centro addestramento per bambini e adulti. «È bello notare come a Prato la passione per il ping-pong stia contagiando così tante persone — conclude Fatai Adeyemo — noi atleti siamo orgogliosi di questo. In fondo, pensiamoci, da dove nasce il problema del razzismo? Dall’ignorare chi realmente sia la persona che ti trovi davanti. Nello sport sei costretto a conoscere il tuo avversario, e quindi a rispettarlo».