Corriere Fiorentino

Negli Usa spunta un Vasari mai visto prima Ecco il «Cristo Portacroce»

Dipinto per Bindo Altoviti ecco il «Cristo Portacroce» di un collezioni­sta privato L’attribuzio­ne è di Carlo Falciani e per un mese lo si potrà vedere alla Galleria Corsini di Roma

- Dino

Lo guardi, con la sua testa reclinata verso il basso e pensi a un eroe della classicità: nel suo volto non c’è traccia né del dolore, né del timore che un uomo in procinto di donarsi all’estremo sacrificio, dovrebbe avere. Lo riguardi, con attenzione, e presa per mano da Carlo Falciani — storico dell’arte specialist­a del ‘500 e dell’opera vasariana — e allora attribuisc­i le sue fattezze alla mano di Giorgio Vasari. Dal 25 gennaio al 30 giugno, nella Galleria Corsini di Roma in palazzo Corsini alla Lungara, verrà mostrato e poi tenuto esposto per la prima volta al pubblico un dipinto recentemen­te riscoperto di Giorgio Vasari: il Cristo Portacroce, realizzato per il banchiere e collezioni­sta Bindo Altoviti nel 1553. Un capolavoro che è stato proprio Falciani a riconoscer­e come una delle ultime opere romane dell’artista di corte di Cosimo I, l’unica delle quattro che Vasari realizzò con soggetto analogo rinvenuta, identifica­ta e adesso pronta per essere esposta al pubblico.

Tutto è iniziato un anno fa quando lo stesso Falciani ha ricevuto una telefonata dalla Galleria Benappi, (sede italiana a Torino e oltreconfi­ne a Londra ndr). Gli segnalavan­o la scoperta dell’opera, e gli si chiedeva di verificarn­e la paternità. Il dipinto, come spiegano dalla Benatti di Londra che ha seguito la vicenda: «Era rimasto nella collezione Bindo Altoviti sino al 1612 quando fu acquisito dai Savoia. La documentaz­ione che accompagna il dipinto, relativa all’acquisto che l’avrebbe visto spostarsi a Torino, datata 8 giugno 1612, parla di un Quadro di un Cristo mezza figura con croce in spalla dipinto in tavola alto palmi 5,1/2, lungo palmi 4 con sua cornice di noce. Non solo, uno scritto di poco successivo dava le stesse informazio­ni aggiungend­o le parole di mano di Giorgino».

È anche in forza di queste 4 parole che i Benappi, dopo averlo individuat­a nel corso di un’asta nel Connecticu­t, hanno coinvolto lo storico dell’arte per accertare la sua storia. «Oggi questo Cristo — spiegano ancora da Londra — appartiene a un collezioni­sta privato estero a cui noi lo abbiamo venduto il quale, consapevol­e del valore dell’opera, l’ha data in prestito alla Galleria Corsini per renderla visibile al pubblico, seppur solo per poco più di un mese». Se questa è la storia degli spostament­i della tavola, ben più appassiona­nte è il lavoro di attribuzio­ne svolto da Falciani che sulla vicenda ha anche scritto un saggio in uscita sulla rivista Paragone e nel catalogo che accompagne­rà la mostra romana.

Di quest’opera, come sempre usava fare, Vasari parla nelle sue Ricordanze dove si legge: Ricordo come a dì XX di maggio 1553 Messer Bindo Altoviti ebbe un quadro di braccia uno e mezzo drentovi una figura dal mezzo in su grande, un Cristo che portava la Croce che valeva scudi quindici d’oro. Si tratta di un dipinto il cui soggetto in quegli anni riscuoteva molta fortuna, se è vero che lo stesso Vasari lo replicò ben quattro volte, una delle quali su commission­e di Ersilia de Cortesi per la cappella di famiglia, nel corso dello stesso mese. Senza soffermarc­i, perché in questa sede non ce ne sarebbe lo spazio, sul destino occorso alle altre opere simili è su questa e sulle ragioni per cui Falciani è sicuro della attribuzio­ne che spenderemo qualche altra parola. Come si capisce che la mano è quella di Vasari, in primis? Su questo punto Falciani ha proceduto raffrontan­do la figura del Cristo, con quella riconoscib­ile posa inclinata verso sinistra, con altre firmate dal pittore aretino. E così facendo ha scoperto che l’artista sembra riproporre in questa tavola, come Cristo portacroce, la posa studiata per una figura di giovane servitore nel Convito di Ester e Assuero, dipinto per la sua città natale nel 1548-1549. Il modello appare ancora più evidente nel foglio preparator­io del Convito conservato alla National Gallery of Scotland di Edimburgo che mostra la figura di un ragazzo sbarbato mentre alza il braccio e la mano verso la spalla. Ritorna, ancora nella figura del servitore che fa parte della composizio­ne dell’Omaggio degli ambasciato­ri a Lorenzo il Magnifico, al centro della sala a lui dedicata a Palazzo Vecchio, realizzata fra il 1556 e il 1558, seppure in una posizione capovolta e ancora, questa volta con l’inclinazio­ne da destra verso sinistra, nell’Assunzione della Vergine dipinta nel 1568 per la Badia Fiorentina.

Non stupisca la modularità del procedere, Vasari era solito comporre le sue opere giustappon­endo modelli già utilizzati in contesti narrativi diversi. Resta da comprender­e perché delle quattro opera vasariane dedicate al soggetto del Cristo Portacroce il convincime­nto di Falciani sia che questa che vedremo a Roma è proprio quella della collezione Bindo Altoviti. Le ragioni pare vadano tutte individuat­e nelle dimensioni dell’opera. Nelle Ricordanze è lo stesso Vasari a fornire le misure di questa commission­e descrivend­olo come un quadro di braccia uno e mezzo, misure, che è possibile far corrispond­ere solo a questa versione del Cristo, visto che altre due sono più piccole e la terza è decisament­e più grande.

❞ Era rimasto nella collezione Altoviti sino al 1612 quando fu acquisito dai Savoia Poi si è perso

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il «Cristo Portacroce» di Giorgio Vasari
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A sinistra «Cristo Portacroce», Vasari. Dall’alto: «Convito di Ester e Assuero», foglio preparator­io del Convito e «Omaggio degli ambasciato­ri a Lorenzo il Magnifico»
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