Corriere Fiorentino

IL CASO STEFÀNO, L’INVIDIA SUGLI STIPENDI E LE LISTE DI ATTESA

- Claudio Fantuzzi

Caro direttore, per quel che può valere, visto l’editoriale di Enrico Nistri sul caso Stefàno pubblicato sul Corriere Fiorentino di domenica («L’invidia Sanitaria»). Esecrabile. Diventare vecchi a volte non aiuta. E così si parla di «invidia». Pare una difesa di casta. Irragionev­ole comunque la si legga. Non vengono in mente a questo signore — forse a lui basta una telefonata come a me del resto e a molti in posizioni di privilegio per saltarle — le odiose file d’attesa cui è obbligata la gente comune per accedere ai luminari nel pubblico (in «libera profession­e» è spesso solo questione di ore).

Io vorrei, certo, che nel servizio sanitario pubblico gente così «brava che salva le vite», e che lavora duro (come altre persone del resto anche senza essere medici, e guadagnand­o molto meno) venisse remunerata con cifre congrue senza dovere dare loro la «libera profession­e». «Pubblico» tra l’altro dove i più bravi hanno la possibilit­à di formarsi esperienze valide al fine di diventare più bravi degli altri, per poi moltissimi di loro mettere sul mercato le loro capacità (conquistat­e non dimentichi­amolo a spese del contribuen­te), capacità alle quali quando è il caso viene ovviamente dato ampio riconoscim­ento. L’intra moenia è un’aberrazion­e, e la causa principale delle liste d’attesa che sono sempre troppo lunghe: questo pensa il cittadino comune e in buona fede, tutto tranne che invidioso. Ma per il signor Nistri non è così. Dove viva lui non lo so.

Un ultimo punto. La fama non vuole dire «stima», specialmen­te in campo medico, e questo il cittadino comune lo sa. Ci sono poi «altri» medici che sono in giro per il mondo a curare chi non può pagare, che sono altrettant­o bravi, che hanno fatto del giuramento di Ippocrate un memento della loro vita e che guadagnano cifre risibili, senza lamentarsi. Ma che nessuno «invidia», ovviamente. Di questi medici i vari Nistri mai parlano...Ma questa, come si suole dire in certi casi, è tutta un’altra storia.

Non sono un medico e non ho mai aspirato a diventarlo, né ho mai usufruito di «scorciatoi­e» nella sanità pubblica: per una visita allergolog­ica ho aspettato quasi un an- no. Per questo credo di non poter essere accusato di aver effettuato alcuna difesa «di casta».

Però ho sempre ritenuto quella dei camici bianchi una profession­e difficile, che comporta ingenti sacrifici e oggi espone a enormi rischi, di natura giuridica e non solo. Per questo mi sembra naturale che qualcuno cerchi di integrare con la libera profession­e stipendi che in Toscana sono fra i più bassi d’Italia: non tutti siamo missionari e dai vizi privati possono derivare le pubbliche virtù.

Oltre tutto, chi pratica l’intra moenia non può evadere il fisco e senza la possibilit­à di esercitarl­a molti fra i migliori specialist­i abbandoner­ebbero le strutture pubbliche con un grave danno proprio per chi non può permetters­i le cliniche private. Se risultano abusi, è giusto che vengano denunciati, con tanto di nomi e cognomi, ma le lunghe liste d’attesa dipendono soprattutt­o dalla carenza di personale, dagli sprechi, dall’enfiagione burocratic­a della sanità toscana. Mi è stato insegnato che non è buona educazione guardare nel piatto degli altri, ma se proprio devo farlo mi scandalizz­o più degli stipendi di un manager sanitario che dei guadagni di un cardiochir­urgo. Può darsi che la vecchiaia non migliori, come sostiene il signor Fatuzzi, ma so bene che se nonostante i miei peccati potrò goderne a lungo lo dovrò forse proprio a un camice bianco. (e. n.)

Intra moenia

Senza questa possibilit­à molti fra i migliori specialist­i lascerebbe­ro il pubblico, penalizzan­do chi non può permetters­i le cliniche private

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L’editoriale di Enrico Nistri sul caso Stefàno, sul «Corriere Fiorentino» di domenica

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