Corriere Fiorentino

«Addio maestro, m’hai corretto fino all’ultimo»

Mario Ruffini e il ricordo di Bruno Rigacci, dai giorni del Conservato­rio a oggi

- Di Mario Ruffini

Si chiamava Bruno, come mia madre, ed è forse questo uno dei motivi che me lo hanno fatto sentire di famiglia. È stato uno dei miei maestri. Quello che, portandomi al Festival di Barga alla fine degli anni Settanta, ha cominciato ad avvicinarm­i al teatro lirico. Era sprizzante di vitalità, e amava stupire noi studenti. Una volta in classe, saputo che in due o tre stavamo studiando con Carlo Prosperi la Prima Sinfonia di Gustav Mahler, decise di fare una lezione su quel capolavoro. A un tratto si sedette davanti a due pianoforti messi uno accanto all’altro, in modo che la sua mano sinistra potesse suonare la parte acuta del pianoforte di sinistra e la sua mano destra potesse suonare la parte bassa del pianoforte di destra.

E, con la più grande naturalezz­a del mondo, suonò in quel modo tutto il primo tempo della Prima Sinfonia, riducendol­a dalla partitura orchestral­e. Un’altra volta si fece silente e cominciò ad ascoltare dalla finestra della nostra aula 23 del Cherubini (oggi aula 10) una voce lunare che proveniva da un’aula dei piani superiori: risuonavan­o divinament­e gli acuti extraterre­ni della mozartiana Regina della Notte. Uscimmo tutti dalla classe, Maestro in testa, per andare a raggiunger­e la classe da dove proveniva simile incanto vocale e raggiungem­mo l’aula del piano superiore. Ci accostammo dietro la porta e ascoltammo tutta l’aria: poi il Maestro aprì la porta e ci presentò sua figlia Susanna. Fu quello il mio primo incontro con la mitica fanciulla dalla voce cosmica che ho ritrovato recentemen­te, in occasione dell’ultimo Maggio Musicale 2018, quale straordina­ria voce del concerto monografic­o dedicato a Luigi Dallapicco­la

L’ultima volta che ho visto il Maestro è stato due anni fa, quando ho diretto i Concerti per tastiera, archi e continuo di Johann Sebastian Bach, nel 2015 per il «Bach in Black» al Salone dei Cinquecent­o di Palazzo Vecchio e nel 2016 nel Museo di Orsanmiche­le per l’Orchestra da Camera Fiorentina, ed era Pietro, l’altro suo figlio geniale, il solista: ricordo quel magistrale BWV 1052, e a rammento quando il Maestro mi si avvicinò per dirmi tutto il suo apprezzame­nto per la profonda sintonia interpreta­tiva che mostravamo suo figlio e io, ma mi indusse a riflettere su un respiro troppo lungo, una pausa dilatata, che amavo fare in alcuni passaggi del secondo tempo di quel «Concerto»: era lì, dopo trent’anni, come se il tempo non fosse passato, ancora sentendosi il docente che consiglia, apprezza, rimprovera. E io ero ancora lì, stupito e felice dei suoi consigli, come tanti anni prima, ad ascoltarlo con gioia e commozione.

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Al piano Un’immagine recente del maestro Bruno Rigacci

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