Corriere Fiorentino

IL SEGNALE DI SALVINI

- Di Paolo Ermini

C’era un ragazzo che all’inizio della sua ascesa politica si era riproposto di voler cambiare la giustizia, ma che alla giustizia ha pagato invece più di uno scotto. Anzi, forse quello più pesante. Perché anche nel suo caso le inchieste hanno prodotto effetti rilevanti sui risultati elettorali. E poi perché ha scontato accuse che non riguardava­no direttamen­te lui, ma il cerchio familiare.

Matteo Renzi è tornato ieri sera primo protagonis­ta della ribalta italiana, suo malgrado. In un lungo post su Facebook, pubblicato pochi minuti dopo l’arresto dei suoi genitori per bancarotta fraudolent­a e false fatture, l’ex premier si è dichiarato fiducioso nel corso della giustizia e impaziente di assistere al processo dei suoi , convinto che le sentenze dimostrera­nno «chi è colpevole e chi no», e l’enormità del provvedime­nto che ha privato suo padre e sua madre della libertà personale.

Renzi ha detto di sentirsi «colpevole» per il dolore che ha arrecato alla sua famiglia per aver voluto far politica e avere tentato di cambiare l’Italia (perché se avesse fatto una scelta diversa, ha scritto, i suoi non sarebbero stati investiti dal fango, non avrebbero subìto questa «umiliazion­e ingiustifi­cata» e adesso sarebbero dei «tranquilli pensionati»). Al tempo stesso ha annunciato che non farà altri passi indietro. E che al contrario continuerà a battersi «forte della sua onestà e delle sue idee». Anche per una giustizia giusta.

Tra Renzi padre e Renzi figlio i rapporti sono stati a tratti anche aspri, come dimostraro­no le intercetta­zioni fatte alla vigilia dell’interrogat­orio di Tiziano sul caso Consip («Babbo, non puoi dire bugie!»). Ma il figlio alla fine ha sempre trovato il modo per difendere l’onore del padre. Come ha fatto anche ieri. Nessuno tranne Matteo sa se lui, una volta arrivato a Palazzo Chigi, abbia mai chiesto al padre di ritirarsi a vita privata abbandonan­do politica e affari. Certamente la figura di Tiziano è sempre stata lontana dall’immagine del pensionato che va ai giardinett­i per non fare ombra a un figlio in carriera. Che è un’immagine triste e, insieme, però, una scelta di realismo in un Paese in cui per molti decenni è stata la giustizia (quella delle inchieste, non quella delle sentenze) a decidere le sorti della vita pubblica.

Matteo Renzi resta in pista, dunque. In un contesto che non potrà comunque non mutare in base agli sviluppi di ieri, anche se il Rottamator­e è adesso un senatore e basta.

Basti pensare che il Pd è impegnato nella campagna delle primarie, con liste che si richiamano direttamen­te a Renzi, e che tra pochi mesi si voterà per il Parlamento europeo. Il commento più rapido all’arresto dei Renzi è stato quello del vicepremie­r Matteo Salvini. Poche parole: «Non c’è niente da festeggiar­e». Il segno (anche sorprenden­te) di una civiltà giuridica, umana e politica che non fa parte del costume italiano (e non solo dei social) e che dovrebbe fare da motivo ispiratore di quella riforma della giustizia che mai è stata varata. Da nessun governo. Ma nella quale vale la pena continuare a sperare, in modo che un giorno si possa commentare un atto della magistratu­ra senza per forza pensare alle conseguenz­e sulla scacchiera politica. Al di là della fondatezza delle accuse, ai genitori di Renzi come a chiunque altro.

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