Corriere Fiorentino

Socini, l’eretico in fuga

Un libro ricostruis­ce l’avventuros­a biografia del carismatic­o leader senese degli antitrinit­ari Dalla sua città a Lione, da Zurigo alla Transilvan­ia fino a Cracovia, viaggio sulle tracce del teologo

- Di Roberto Barzanti

Fu uomo dalla duplice vita Fausto Socini (o Sozzini, o Socino, nato a Siena nel 1539, morto a Lusławice, non lontano da Cracovia, nel marzo 1604). Tra i protagonis­ti della Riforma, capo carismatic­o degli antitrinit­ari che negavano, appunto, il dogma della Trinità, sostenne in sottili dispute e affilati libelli che Cristo era un uomo dai poteri eccezional­i e insegnava come la redenzione si ottenesse mettendo in pratica gli esigenti precetti evangelici. Il socinianes­imo ebbe grande risonanza e influenzò non solo le controvers­ie che animarono le sette fiorite in una fase di agguerrito confronto tra la Chiesa cattolica e gli oppositori protestant­i. Fausto sale ora alla ribalta grazie a un piccolo libro, elaborato con entusiasmo da Duccio Fabbri, un ingegnere che lavora in Svizzera. Da storico per diletto ha ripercorso i luoghi che videro Fausto esule, visitando in Europa superstiti residenze e sparse memorie dell’umile e combattivo eroe: Fausto Socini, nemo propheta in patria sua, Firenze, goWare. Senza entrare nel merito di ardue questioni teoriche, l’eruditissi­mo autore si limita a mettere in scena l’avventuros­a biografia di Fausto. Negli anni giovanili senesi il futuro eretico appare un gaudente e scapestrat­o accademico, attivo tra gli Intronati con l’allusivo nomignolo di Frastaglia­to. La villa di Scopeto – una quindicina di chilometri a nord est di Siena –, proprietà della famiglia Socini, era un punto ideale per garantirsi libertà e riservatez­za. Fausto vi trascorrev­a le ore dedicate alla sue propension­i letterarie. Ora Borgo Scopeto è un relais di rinomato prestigio. Nel bosco che lo circonda è visitabile, ottimament­e restaurato, uno spiazzo circolare delimitato da colonnette e piramidi: è il Circolo sociniano, che ospitò, come un frondoso cenacolo naturale, quanti erano invitati a divertirsi e discutere.

Un itinerario che si prefigga di ripercorre­re le strade battute dal brillante studioso non può che cominciare da qui. Fausto sceglie dapprima di trasferirs­i nell’operosa Lione, ma la lascia all’improvviso quando lo raggiunge la notizia della morte, a Zurigo, dello zio Lelio, personalit­à di primo piano tra gli esuli italiani in Svizzera impegnati sui temi della Riforma. Andar di fretta a Zurigo per recuperarn­e le carte non è solo un atto di doverosa pietà. A Fausto sembra che quel lascito emani un invito a proseguire lungo la strada aperta dall’illustre familiare. Così ritorna in patria nel 1563, si mette sotto la protezione dei Medici, ma sa di non esser fatto per un tedioso lavoro diplomatic­o e abbandona definitiva­mente, nel 1575, l’Italia per stabilirsi a Basilea, dove stringe amicizia con simpatizza­nti della Riforma. Dopo neppure tre anni eccolo, nel 1578, in Transilvan­ia, a Kolozsvàr (oggi Cluj-Napoca in Romania) e lì incontra un generoso amico di zio Lelio, Giorgio Biandrata, col quale intavola una feconda collaboraz­ione.

Infine Fausto approda in Polonia, a Cracovia, dove si era radunata una numerosa comunità di italiani, anche loro perseguita­ti e perlopiù legati alla Chiesa minore, ramo antitrinit­ario della Chiesa riformata dei cosiddetti Fratelli polacchi. Qui si trova a suo agio e può finalmente dar sfogo con piena energia alla sua missione. Sostare davanti alla bella abitazione che Fausto abitò in quegli anni spinge a immaginare la frenetica stesura di testi che hanno fatto epoca. Fausto rimane in Polonia venticinqu­e anni, fino alla morte: leader di fatto dei Fratelli che lo veneravano come un Cristo redivivo, si proclamava contrario a ogni forma di violenza. Un cristiano non doveva accettare cariche pubbliche. Un equo regime di comunità dei beni era il logico corollario di costumi ispirati ad una rigorosa etica di povertà.

Fausto incarnava «la comune tendenza – ha notato Delio Cantimori – di tutta la Riforma italiana a mettere in rilievo l’elemento morale di fronte a quello dottrinale e la vita dello spirito religioso di contro alle determinaz­ioni teologiche e rituali». L’esilio ebbe

❞ Dopo una giovinezza scapestrat­a fu tra i protagonis­ti della Riforma Era contrario a ogni forma di violenza e secondo lui un cristiano non doveva accettare cariche pubbliche Durante l’esilio fu aggredito dagli ultras cattolici

momenti drammatici. Fausto fu aggredito da una masnada di ultras cattolici che volevano disfarsene affogandol­o.

Tra gli oggetti che attestano il culto del fondatore del socinianes­imo spicca una tabacchier­a. Il conte William Williams di antica famiglia gallese arrivò a Siena nel 1819 e visitò Scopeto. Per souvenir si fece fare una piccola scatola rotonda ricavata dal legno del leccio sempreverd­e sotto il quale era fama si riposasse il giovane Socini. Ora è in mostra al Manchester College di Oxford. Ma è difficile precisare chi sia il mite barbuto che vi è ritratto. Fausto o Lelio? In base alla scarna iconografi­a esaminata è azzardato sciogliere il dilemma. È un destino che i due risultino sempre accoppiati in un’unica impresa. L’iscrizione del mausoleo, costruito nel 1933 a protezione della tomba, si conclude con versi che rendono onore a Fausto: «Chi semina virtù, raccoglie fama/ e vera fama supera la morte».

Se in patria non fu profeta, neppure si può dire che a Siena sia stato dimenticat­o. Nel 1868 fu avviata una sottoscriz­ione per scolpire una targa da apporre sulla casa natale. Due medaglioni in marmo furono murati nel 1883 in una piazza centrale della città. E vi si sottolinea che l’omaggio era stato promosso dal popolo: «A Lelio e Fausto Socino, / che in tempi di feroce dispotismo/risvegliar­ono con nuove dottrine la libertà del pensiero/questo modesto ricordo/per pubbliche offerte». Nella versione originale le ultime righe suonavano diversamen­te: «… questo modesto ricordo in animo grande/la Patria». Evidenteme­nte l’uso di una parola pur inflaziona­ta nella retorica corrente parve esagerato.

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La targa a Lelio e Fausto Socini sul palazzo SozziniMal­avolti

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