Corriere Fiorentino

LA BUONA SCUOLA ESISTE E HA SALVATO MIA FIGLIA

- Lettera firmata

Caro direttore, la buona scuola non è solo una legge, un decreto, una normativa. E non è nemmeno solo un’istituzion­e delegata all’istruzione dei giovani, quella che purtroppo i test invalsi denunciano ancora carente e le graduatori­e internazio­nali relegano agli ultimi posti.

La buona scuola di cui vorrei parlare è una scuola di buona istruzione ma anche di buoni sentimenti, di grande umanità, di comprensio­ne, di abbraccio e di accoglienz­a. E non sto parlando di modelli astratti o del nord Europa. La buona scuola di cui voglio parlare è italiana, è fiorentina e ha una sua storica identità. È il liceo artistico di Porta Romana, ex istituto d’arte. Una scuola che proprio quest’anno ha compiuto 150 anni e che è stata la scuola di Ottone e Bruno Rosai, Enrico Coveri e Franco Zeffirelli, tanto per citare qualche nome di ex allievi illustri. E che è stata anche la scuola di mia figlia, 18 anni, diplomata il mese scorso. Una ragazza intelligen­te, bella, sana, creativa, con tanti interessi e tanti sogni, come tanti adolescent­i. E poi l’inciampo, graduale e profondo in quel male oscuro e inafferrab­ile che si chiama depression­e. Malinconia profonda, apatia, pensieri negativi, rifiuto di tutto quello che prima riteneva interessan­te, perdita graduale di entusiasmo, bassa autostima, chiusura e antisocial­ità, ossessione per il peso, disturbi alimentari. Voglia di restare a letto, di dormire per non pensare. E allora il mondo, come visto da un binocolo all’incontrari­o, appare lontano. La gente diventa piccola, indistinta, incomprens­ibile. Le cose, tutte, si stemperano e perdono colore e valore. Come si stempera e perde valore l’immagine di sé. La famiglia è una presenza che lei non riesce a vedere e dalla quale non si sente vista, così gli amici. La scuola è un luogo dove sentirsi ancora più soli. E verso tutti, nessuna voglia di farsi aiutare. Nessuna possibilit­à, a chi le sta accanto, di aiutarla. E a nulla valgono le parole, ora dolci e comprensiv­e, ora dure nel tentativo di scuoterla. Rumore nel rumore, silenzio nel silenzio. Tutto, sempre più lontano e indistinto. Compresa la percezione di sé. Come madre mi sono sentita impotente. Pur avendole provate tutte, prima con le mie forze e poi cercandone all’esterno: parenti, amici, psicologi. Battaglie perse. E intanto a scuola si accumulava­no le assenze. Fino a diventarne troppe. E non più sostenibil­i, in un quinto anno prossimo agli esami di maturità. Giusto, mi ero detta, la scuola, resta l’unico tentativo che non ho ancora fatto: chiedere aiuto alla scuola. Lo feci. Ci andai ma con blanda speranza. Più per correttezz­a che per convinzion­e. Giustifica­i le assenze spiegando. E trovai, inatteso, un abbraccio grande come quell’immenso monumental­e edificio: L. era una loro studentess­a e non potevano perderla. L. andava aiutata, subito e da tutti. L. doveva sentire che la scuola non la stava dimentican­do e che la rivoleva indietro. Che non era un numero, uno studente fra centinaia di studenti. E quell’abbraccio andò crescendo giorno dopo giorno, acquistand­o forza ed energia, fino ad arrivare a lei, alla sua sofferenza, alla sua immobilità, al suo abbandono. Gli insegnanti le mandavano messaggi, qualcuno le telefonava, con delicatezz­a, discrezion­e, affetto sincero. E la stessa cosa hanno fatto i compagni di classe. Tutti, docenti e studenti, le offrivano aiuto per recuperare gli oltre due mesi di lezioni perse e chiedevano il suo di aiuto: lei che era brava a disegnare, lei che era brava in inglese e che scriveva così bene. Non è stato facile, non è stato indolore, non è stato scontato. Ma quando una mattina ho rivisto mia figlia alzarsi dal letto per andare a scuola, credo di avere riprovato la stessa gioia di quando è venuta alla luce. L. stava tornando alla vita. E proprio nella scuola, che nei giorni e mesi di buio, aveva sentito distante e inutile, ha ritrovato, giorno dopo giorno la forza che le era venuta a mancare. La scuola la stava aspettando e credeva in lei e nelle sue capacità, nei suoi sogni e nei suoi progetti. Tutte quelle cose in cui non riusciva più a credere. Pian piano, con forza, coraggio e una ritrovata splendida voglia di vivere, L. è arrivata fino in fondo, ammessa alla maturità e superando brillantem­ente l’esame di Stato. Ora sta scegliendo dove proseguire gli studi universita­ri e cosa fare «da grande». Del suo liceo di Porta Romana, porterà con se’ tanti insegnamen­ti certo, ma soprattutt­o, porterà la lezione più importante che uno studente possa ricevere. Una lezione di vita che ha reso concrete parole e valori importanti: attenzione, ascolto, comprensio­ne e accoglienz­a. Ecco, questa è la buona scuola che volevo raccontare. Una realtà che resta umilmente nell’ombra, come chi fa del bene per la gioia di aiutare e non perché gli venga riconosciu­to o per raccattare like nei social, una realtà che non si legge spesso sui giornali dove è più facile leggere di esempi negativi. Il liceo artistico di Porta Romana, con i suoi insegnanti, con la sua preside e con i suoi studenti, è una buona scuola. Che non smetterò mai di ringraziar­e.

❞ Lezione di vita Era caduta nel buio della depression­e, è riuscita a rialzarsi grazie a compagni e docenti

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