UN ERRORE DI PROSPETTIVA
Le reazioni di Salvini e di esponenti regionali della Lega alla presa di posizione dell’arcivescovo Giulietti riportano sulla scena lo scontro fra le politiche del governo su immigrazione e sicurezza e l’episcopato italiano. Si assiste a una polemica che ha certamente uno spessore mediatico, che con la battuta «piazze piene e chiese vuote» costruisce una contrapposizione fra la Chiesa, identificata con la gerarchia, e le anime dei fedeli. Di queste ultime e delle loro preoccupazioni sul futuro si intesta la cura la Lega di Salvini, che esprime un’idea di cristianesimo come religione civile e dato culturale da difendere perché fattore che compone l’identità italiana. La posizione del vescovo di Lucca e di molte realtà ecclesiali non è però politica. Ed è un errore di prospettiva leggerla solo come tale. La chiave per capire la sensibilità che si manifesta nel cattolicesimo italiano sta nel fondamento teologico della linea che si ritrova nel magistero di Francesco e che marca una discontinuità nella storia della Chiesa italiana. È una visione del cristianesimo profondamente religiosa che lo considera costitutivamente dialettico col mondo e soprattutto con la politica. È l’idea che il cristianesimo non possa mai essere ridotto alle forme del mondo ma abbia una carica, per così dire, sovversiva rispetto a ogni struttura e a ogni politica e proprio per questo sia un fattore di promozione umana che rende dinamiche le società e le culture. La Chiesa italiana sta assorbendo questo modo di intendere il cristianesimo e inizia a esprimerlo e questo provoca e provocherà conflitti sul politico, sull’economico, sul sociale.
Non si tratta di una strategia per riportare fedeli nelle chiese, semplicemente perché un cristianesimo così vissuto e concepito non si preoccupa dei numeri ma di una fedeltà del Popolo di Dio alla Parola che si declina nel fuoco della storia. La politica della Lega è certamente abile nel fare appello a un modello di fede identitaria che nel cattolicesimo italiano ha un seguito e riaccende antiche aspirazioni a fare del cattolicesimo il codice della pubblica morale del Paese. Questo indubbiamente paga in un tempo di transizione in cui la Chiesa italiana muta profondamente il proprio modo di essere nel Paese, ma ha un limite profondo: è un approccio che dimentica che per il cristiano e per la Chiesa resta essenziale la dimensione della sequela di un Cristo che è sempre segno di contraddizione rispetto a ogni potere mondano. Senza questo anche la dimensione valoriale della fede e la cura d’anime finiscono, prima o poi, per evaporare.