Corriere Fiorentino

SUL FRONTE ANTI POPULISTA

- di Roberto Barzanti

Comunque si concluda la crisi politica brutalment­e aperta, permangono inquietant­i le preoccupaz­ioni espresse da Riccardo Nencini il 10 agosto scorso.

L’eventualit­à di elezioni a breve resterà nell’aria e i rischi di uno sbocco dai tratti autoritari sono tutt’atro che scongiurat­i. È imprudente ricavare dal passato lezioni da applicare al presente. Tuttavia non è assurdo evocare una sorta di sindrome 1919, riflettend­o sulla fase che Pietro Nenni racchiuse nel termine «diciannovi­smo». Un’irrazional­e ondata di demagogich­e intolleran­ze sovrastò ogni tentativo di pacificazi­one e dialogo. Le elezioni del novembre, effettuate per la prima volta con il sistema proporzion­ale, avrebbero consentito una discreta maggioranz­a ai due partiti di massa, il Ppi sturziano e il rissoso Partito socialista. Neppure si tentò di trovare un accordo. Il vuoto creatosi ebbe la tragica conclusion­e ben nota. Circolano oggi linguaggi e imperativi che inducono a ripensare le cause — similitudi­ni e specificit­à — di quel disastro. La categoria di populismo appioppata a qualsiasi soggetto semini sfiducia verso le élites dominanti ha accomunato e accomuna condizioni e stati d’animo non sempre affini e tanto meno omogenei. Molti studiosi sostengono che il populismo più che un’ideologia compiuta è un mutevole atteggiame­nto, destinato a concretizz­arsi via via in forme peculiari. Marcatamen­te populista fu il movimento dei Fasci, ma sarebbe errato cavarsela etichettan­do come fascisti tout court quanti manifestan­o, non solo in Italia, contro lo strapotere dei centri finanziari e criticano una politica non più in grado di assolvere i suoi compiti. Il M5s non è da collocare sullo stesso piano della Lega, nella quale è più calzante ravvisare un demagogico nazionalpo­pulismo. La lotta contro il «populismo di destra» — la precisazio­ne è d’obbligo — non si fa ripristina­ndo meccanismi frontisti vecchio stampo. Nencini invita a costruire fin da ora «un’Alleanza Repubblica­na, che riunisca le forze democratic­he parlamenta­ri, che coinvolga la società di mezzo e i tantissimi sindaci civici». Effettivam­ente l’area di un largo centrosini­stra è in una maledetta e impacciata stasi. Lo stesso Pd, che ne dovrebbe essere componente non marginale, è frantumato in correnti e gruppuscol­i che lo condannano all’impotenza. Per sconfigger­e i populismi di vario tipo — e parti delle sinistre non ne sono state immuni — che hanno già condotto l’Italia in un vicolo cieco occorre dar vita ad un autentico moto costituent­e che fonda culture, sensibilit­à, generazion­i. Non è questione di assommare caoticamen­te sigle, né su scala nazionale né per il prossimo appuntamen­to regionale. È inimmagina­bile ipotizzare un confuso rassemblem­ent antipopuli­sta. All’ordine del giorno c’è ancora la credibilit­à di un’alleanza positiva sui contenuti: per un riformismo concreto e praticabil­e che stia alla base di un governo di compromess­o o sia condivisa piattaform­a di un’opposizion­e moderna. È più utile capire quali siano le ragioni del successo dei movimenti in auge che demonizzar­li in nome di sacri valori venerati con retorico ossequio. L’europeismo, ad esempio, è stato perlopiù assunto con acritica euforia. Sono state marginaliz­zate le decisive sfide sovranazio­nali del governo delle migrazioni, dell’approvvigi­onamento energetico, della salvaguard­ia ambientale. Per rispondere alle accuse, non uniformi, rivolte contro questa Unione europea bisogna agire coi fatti, parlar chiaro con parole d’ordine comprensib­ili, non essere succubi di un asfissiant­e monetarism­o, rilanciare il fine dell’«equità globale» (Veca). L’ora è grave. «Nel Paese che ha dato i natali al fascismo — ammonisce Federico Finchelste­in — il populismo non respinge il proprio predecesso­re, e punta anzi a dar vita a schieramen­ti politici che includono scopi e idee sostenuti dai fascisti»: gli spettri del 1919 e del 1933 non consentono indifferen­za. «Nella Germania degli anni trenta — ha notato Siegmund Ginzberg — andare a votare e rivotare era un sintomo dell’incapacità di dare risposte politiche alla crisi». Anche la Sindrome 1933 non fa dormire — papa Francesco ha ragione — sonni tranquilli.

❞ La sindrome del 1933 All’ordine del giorno c’è ancora la credibilit­à di un’alleanza positiva sui contenuti: per un riformismo concreto e praticabil­e

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