Lucca, una mostra in omaggio a Bischof reporter dei deboli
La mostra Dal 7 settembre al 7 gennaio il Lucca Center of Conteporary Art celebra il fotografo Werner Bischof Il reporter della Magnum «archeologo dei sentimenti» che ha documentato i più grandi drammi del mondo
Quando la macchina fotografica ha la potenza di una vera arma. Appartiene alla stagione dei grandi reporter lo svizzero Werner Bischof (19161954), parte della mitica scuderia Magnum, fondamentale capitolo della storia della fotografia del Novecento. Per conoscerlo meglio si potrà andare a Lucca, dal 7 settembre al 7 gennaio 2020, al Lucca Center of Contemporary Art per la personale a lui dedicata. Werner Bischof classic esporrà 105 immagini, dal 1934 al 1954, otto sezioni per esplorare la sua evoluzione stilistica, all’inseguimento della propria libertà espressiva, fra nudi femminili, indagini sulla natura, ritratti, viaggi in paesi lontani, scenari di guerra, testimonianze di cultura indigena. Come uno dei sui scatti più celebri, un bimbo peruviano catturato mentre suona il flauto. Fotografia risalente al 1954, poco prima che Bischof, proprio mentre era giunto all’apice della sua carriera, perdesse la vita in un incidente stradale.
Una vita intensa e tragica la sua, conclusa da quella drammatica fine repentina. Il fotografo svizzero fece parte della Magnum fin dagli anni in cui fu fondata, accanto a colleghi come Robert Capa, Henry Cartier-Bresson, David Seymour e via di questo passo. Era il 1949 quando Bischof entrò a far parte della Magnum, che era agli albori ma che conoscerà in breve un grande successo proprio per il talento dei suoi fotografi. Bischof non nasce come reporter, i suoi primi anni sono dedicati a still life e panorami. Nato a Zurigo nel 1916, frequenta adolescente la scuola d’arte della sua città dove avrà come insegnante Hans Finsler, maestro della fotografia oggettiva, che influenzerà molto i primi anni di Bischof, ma agli antipodi da quella che sarà la sua poetica più celebre, talmente empatica coi propri soggetti da aver fatto parlare per lui di umanesimo. Il talento nel raccontare storie lo affinerà parallelamente alla sconvolgente scoperta della devastazione europea del primo dopoguerra, lui che era vissuto nella relativa sicurezza della Svizzera neutrale.
A soli venti anni ci prova con la moda. Ma l’attività sarà interrotta dalla chiamata alle armi, nel 1939. Tornato a casa, apre un piccolo studio fotografico con cui espletò diversi lavori su commissione. Ci provò pure con la pittura, ma per la seconda volta la chiamata all’esercito per due anni metterà fine alle sue velleità. Ma quando iniziò a viaggiare per l’Europa ebbe uno schiaffo emotivo che sarà centrale nella sua esistenza. E iniziò a fotografare l’uomo e le sue tragedie. Lui che non si era quasi mai cimentato nella figura umana, rivelò un vero talento. In anni in cui c’era una vera fame di reportage, giornali e riviste cercavano storie, testimonianze, così la carriera di Bischof fu veloce. Le sue foto si differenziavano proprio per la sensibilità che riusciva a dimostrare verso i propri soggetti, senza intaccare il realismo. Alcune entrate nella storia della fotografia, come quella della mamma tedesca che allatta il suo bambino. Perché Bischof volle documentare la rinascita europea dalle rovine della sconfitta. In nove anni ci riuscì.
Il 1949 fu un anno cruciale. Entrò alla Magnum, primo fotografo esterno al di là dei fondatori e si sposò con Rosellina Mandel. Lei era un’assistente sociale che aveva lavorato a Rimini e in Italia Bischof girerà diverse città. Documentando polvere e macerie ma un popolo vivo. Nel 1952 arriva anche l’affermazione internazionale e i viaggi: India, Giappone, Corea, Hong Kong, Indocina, Messico, Panama, Perù. La Magnum lo manda a documentare la carestia in Bihar. Scatti terribili di bimbi denutriti che segneranno profondamente Bischof. Il suo percorso era segnato, anche se il padre, anni prima, aveva pubblicamente rimproverato quel figlio che aveva lasciato la tranquillità svizzera per inseguire le tragedie del mondo. Lui chiese pure scusa, ma non abbandonerà mai l’umanità profonda dei suoi soggetti. Fino alla tragica conclusione.
«Werner Bischof, un maestro del reportage, ma soprattutto un artista in grado di indagare il rapporto dell’uomo con la natura e con se stesso, un ricercatore di verità, archeologo dei sentimenti umani, narratore dello straordinario quotidiano, appassionato di vita», dice di lui Maurizio Vanni, direttore generale del Lu.C.C.A e curatore dell’esposizione insieme ad Alessandro Luigi Perna. In collaborazione con Werner Bischof Estate e Magnum Photos.