I CORI RAZZISTI E UNA DISTANZA NECESSARIA
Non ci eravamo certo illusi che l’ubriacatura collettiva dopo i primi passi della proprietà italoamericana potesse spazzare via i cori beceri e anti sportivi di una parte dei tifosi viola. Eppure, una piccola speranza l’avevamo nutrita. Sarà stato per la maglietta con la scritta «Non c’è vita senza di voi» sventolata al Franchi da Joe Barone, sarà stato per l’atteggiamento di spontanea (e sorprendente) apertura da parte di Rocco Commisso, che non si è mai negato a telefonate, strette di mano, selfie, chiacchierate con il popolo della Fiorentina. Forse qualcosa è cambiato, pensavamo. E invece sabato sera dalla Fiesole sono partiti i soliti cori offensivi contro i napoletani, Napoli e perfino contro San Gennaro. Per non parlare dei continui insulti a Carlo Ancelotti, partiti dal parterre e di cui lo stesso allenatore si è lamentato in sala stampa. Sia chiaro: quando si canta «Chi non salta tifoso di un’altra squadra è» siamo nell’ambito dello sfottò. Chi invece augura a una città di essere sepolta dalla lava del suo vulcano è un violento, un razzista e quindi, per usare un termine caro alla burocrazia calcistica, un «discriminatore territoriale». La differenza deve essere chiara a tutti. Siamo sicuri che Commisso e i suoi manager porteranno una nuova cultura imprenditoriale nel calcio italiano, per far salire — parole del patron viola — la serie A ai livelli della Premier e della Bundesliga. Ma forse bisognerebbe partire proprio da un nuovo modo di stare allo stadio, di essere tifosi. Forse Commisso, oltre alla carota, dovrebbe usare anche un po’ di bastone e prendere subito le distanze da quei cori e da quel modo di intendere il tifo. Pochi presidenti italiani lo fanno e lo hanno fatto in passato, ma sarebbe un segnale molto importante per chi spera che il calcio italiano possa cambiare. E in profondità.