Corriere Fiorentino

RENZI, MA QUAL È LA STRATEGIA?

- Di David Allegranti

AMatteo Renzi non piace granché questo governo giallo-rosé, che pure è nato con il suo contributo determinan­te. Dice che «non è il dream team» anche se la cosa più importante da fare era intanto mandare a casa Matteo Salvini. Aggiunge subito però che l’ antisalvin­ismo da solo «non basta». Insomma, un po’ è contento e un po’ no l’ex sindaco di Firenze. È contento perché è tornato al centro della scena politica, grazie anche al colpo di sole del Papeete e all’ autocomplo­tto di Salvini, appuntando­si così i galloni di responsabi­le salvatore della patria. «Salvare il Paese» è la scusa con la quale si cerca di nobilitare qualsiasi operazione politica. Forse non guasterebb­e meno retorica, specie da chi s’è sempre presentato come un bastian contrario.

Motivi di scontentez­za invece vanno cercati nella tempistica. Renzi da mesi accarezza la scissione, accelera improvvisa­mente poi frena. E poi riparte daccapo. Qualcuno di recente gli ha guastato i piani, come Carlo Calenda, che appena è nato il governo ha annunciato l’addio al Pd, andando a ingrossare il già affollato condominio liberale e presentand­osi come un concorrent­e per Renzi (ma solo in caso di elezioni, il che avvantaggi­a Renzi e non Calenda visto che il voto è stato appena allontanat­o). Ogni volta che la scissione viene evocata — a questo giro sarebbe da destra, al contrario di quella precedente di Bersani & co, che peraltro ora potrebbero pure tornare nel Pd — Renzi aggiunge un dettaglio in più sulle modalità. Da qualche giorno si parla infatti della possibilit­à che in ottobre, alla Leopolda, nascano i gruppi parlamenta­ri autonomi.

Il decennale della kermesse renziana dovrebbe far capire meglio le mosse e le intenzioni del senatore di Scandicci , compresi i motivi che gli hanno fatto dare il via a al governo con i «cialtroni». Renzi vuole forse andare all’elezione del presidente della Repubblica con una discreta capacità contrattua­le grazie ai gruppi tutti suoi? C’è poi un’altra questione. La politica è sì arte del compromess­o, spesso anche con se stessi. Ma Renzi ha rappresent­ato per il centrosini­stra italiano una scommessa enorme, quando si è affacciato sul palcosceni­co nazionale dieci anni fa. Interprete di un malessere al quale ha tentato di dare, almeno all’inizio, una risposta. Le premesse e le promesse della rottamazio­ne sembravano epocali. La strategia si vedeva. Non è che adesso rischia di rimanere solo la tattica?

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