RENZI, MA QUAL È LA STRATEGIA?
AMatteo Renzi non piace granché questo governo giallo-rosé, che pure è nato con il suo contributo determinante. Dice che «non è il dream team» anche se la cosa più importante da fare era intanto mandare a casa Matteo Salvini. Aggiunge subito però che l’ antisalvinismo da solo «non basta». Insomma, un po’ è contento e un po’ no l’ex sindaco di Firenze. È contento perché è tornato al centro della scena politica, grazie anche al colpo di sole del Papeete e all’ autocomplotto di Salvini, appuntandosi così i galloni di responsabile salvatore della patria. «Salvare il Paese» è la scusa con la quale si cerca di nobilitare qualsiasi operazione politica. Forse non guasterebbe meno retorica, specie da chi s’è sempre presentato come un bastian contrario.
Motivi di scontentezza invece vanno cercati nella tempistica. Renzi da mesi accarezza la scissione, accelera improvvisamente poi frena. E poi riparte daccapo. Qualcuno di recente gli ha guastato i piani, come Carlo Calenda, che appena è nato il governo ha annunciato l’addio al Pd, andando a ingrossare il già affollato condominio liberale e presentandosi come un concorrente per Renzi (ma solo in caso di elezioni, il che avvantaggia Renzi e non Calenda visto che il voto è stato appena allontanato). Ogni volta che la scissione viene evocata — a questo giro sarebbe da destra, al contrario di quella precedente di Bersani & co, che peraltro ora potrebbero pure tornare nel Pd — Renzi aggiunge un dettaglio in più sulle modalità. Da qualche giorno si parla infatti della possibilità che in ottobre, alla Leopolda, nascano i gruppi parlamentari autonomi.
Il decennale della kermesse renziana dovrebbe far capire meglio le mosse e le intenzioni del senatore di Scandicci , compresi i motivi che gli hanno fatto dare il via a al governo con i «cialtroni». Renzi vuole forse andare all’elezione del presidente della Repubblica con una discreta capacità contrattuale grazie ai gruppi tutti suoi? C’è poi un’altra questione. La politica è sì arte del compromesso, spesso anche con se stessi. Ma Renzi ha rappresentato per il centrosinistra italiano una scommessa enorme, quando si è affacciato sul palcoscenico nazionale dieci anni fa. Interprete di un malessere al quale ha tentato di dare, almeno all’inizio, una risposta. Le premesse e le promesse della rottamazione sembravano epocali. La strategia si vedeva. Non è che adesso rischia di rimanere solo la tattica?