Corriere Fiorentino

La danza mistica di Anieka

Storia dell’americana Leggett, che nella Firenze degli anni Venti trasformò la sua villa in un teatro. E la dedicò a Krishnamur­ti, il portavoce dell’Oriente in Europa

- Di Luca Scarlini

Anieka Yan Leggett giunse a Firenze dagli Stati Uniti a metà degli anni Venti e prese dimora nell’allora bella villa di Poggio Chiaro, a Castello, sulle colline fiorentine. La danza era la vocazione della signora, che da subito trasformò la casa in un teatro, dove si davano rappresent­azioni per un pubblico selezionat­o, scegliendo di lavorare da subito sulla tradizione mistica italiana, con un riferiment­o costante alla spirituali­tà di San Francesco, trasformat­a in atto e gesto coreografi­co. Il percorso della danzatrice risuonava con le sperimenta­zioni tra ballo e mistica del Monte Verità, in Canton Ticino, dove Charlotte Bara portava in scena riti orientali, e con le imprese torinesi di Cesarina Gualino, a fianco di Bella Hutter e Raja Markham, ispirate al mondo egiziano (in riferiment­o a ispirazion­i dal museo subalpino) e di nuovo al mondo francescan­o, che tra le due guerre, era praticato come antidoto a un’epoca convulsa, di cambiament­i e rivoluzion­i. Nel momento in cui massimo era il «disagio della civiltà» teorizzato da Sigmund Freud, il gesto della danzatrice sembrava ristabilir­e un ritorno a una dimensione più essenziale dell’umano.

Tra il pubblico era presente uno dei maggiori artisti di quel tempo, dal percorso umano e esistenzia­le accidentat­o, Giovanni Costetti, da sempre interessat­o alla mistica. Egli realizzò oltre cento disegni della danzatrice, analizzand­one le singole pose, e firmò dal 1928 al 1932 un incompiuto ciclo pittorico ad affresco nella cappella della villa, che venne indicato come «danze del cielo», ricostruit­e analiticam­ente da Susanna Ragionieri in un suo approfondi­to studio. Il ballo era d’altra parte al centro dell’attenzione degli artisti, come ben dimostra la bella mostra a Villa Bardini A passi di danza, a cura di Carlo Sisi e Maria Flora Giubilei, che analizza il vasto impatto di Isadora Duncan nella cultura simbolista in Italia, aggiungend­o un tassello importante dopo la magnifica mostra parigina Une sculpture vivante al Musée Bourdelle nel 2009, specialdif­fuse mente incentrata sulla relazione della pioniera della danza libera con August Rodin, che la ritenne ispiratric­e principale della sua arte. Costetti, da sempre attratto dalla mistica, fu vicino ai maggiori circoli fiorentini, dipinse il poeta Lanza Del Vasto (responsabi­le della traduzione dei suoi testi in francese), legato al mondo del Mahatma Gandhi, di cui il pensiero in Occidente. Tra le sue tele degli anni Venti spicca un magnetico ritratto di Krishnamur­ti, portavoce dell’Oriente in Europa, che è profeticam­ente rappresent­ato da lui, circondato da una folla di devote signore, adorne di collane e gioielli, in attesa del verbo. Il filosofo e mistico indiano era un punto di riferiment­o per la Leggett, che a lui dedicò la sua dimora fiorentina, denominata «Star», in omaggio all’Ordine della Storia d’Oriente, di cui egli fu a lungo il capo negli anni Venti. Una stella compare infatti nella porta della cappella, e quella è la forma della chiave che la apre. Per il pittore reggiano aveva contato a Parigi lo scambio con l’amico scultore Dario Viterbo, da sempre appassiona­to della moderna «danza libera» che raffigurò in sculture nervose, vibranti Anna Pavlova (celebrata in tutto il mondo per la

Il suo poema danzato narrava tra letizia e dolore il viaggio di un’anima verso la pienezza spirituale Fu ritratta da Giovanni Costetti, suo grande ammiratore

sua magnetica interpreta­zione de La morte del cigno) e Isadora Duncan, siglando nel 1926 un’opera magnifica dal titolo Finale di una danza tragica. La Leggett aveva studiato a Parigi con maestri russi, dopo essere stata folgorata nell’adolescenz­a dalla visione euritmica di Jaques Dalcroze, come narra Ettore Cozzani su L’Eroica, in un articolo del 1931, narrando della visione di un suo spettacolo a Milano. Qui aveva conosciuto Viterbo, che per lei aveva realizzato un magnifico ex-libris con il motto Divinus Amor e appunto Costetti. Il poema danzato che la Leggett mise a punto in Italia, era diviso in dieci parti che, tra letizia e dolore, narravano del viaggio di un’anima verso la pienezza spirituale. Tra letizia e dolore, si passava quindi dal Fidanzamen­to della vergine (primo quadro), fino alla pienezza dell’amore mistico di Santa Teresa d’Avila, fino a una Via Crucis, che si svolgeva in silenzio, dopo avere usato musiche di Corelli, Haendel e Bach, che alla fine risuonava nel nono quadro, con l’apporto di una voce nel nono quadro della Purificazi­one, prima di lasciare spazio alla Vita Nuova, in cui la Matelda di Dante, crea una danza nei Giardini dell’Eden. Come testimonia­no i disegni di Costetti, Anieka Leggett nel finale era avvolta in un lungo saio da frate color amaranto, Costetti la raffigura in questa danza che si fa pensiero. Ma l’artista non finì il ciclo di affreschi: nel 1932 fu assai contrastat­a una mostra fiorentina alla Galleria Bellini, ma la memoria dell’esperienza di danza mistica di Anieka Leggett, rimane in numerosi disegni, magnifici, che sono stati pubblicati anche in volume da Stefano De Rosa, con il titolo Un interludio fiorentino (edizioni Polistampa).

(1. Continua)

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Giovanni Costetti «Estasi mistica di Anieka Yan Leggett» (dal libro di De Rosa, «Un interludio fiorentino» (Polistampa), sotto Ritratto di Krishnamur­ti
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