Corriere Fiorentino

«L’archivio Poli a Venezia? Paolo è di tutti E da Firenze zero richieste»

La sorella Lucia: niente polemiche, mio fratello è di tutti. La Fondazione Cini si è mossa prima

- Edoardo Semmola

Sono passati tre anni dalla morte del fratello Paolo e Lucia Poli è a Venezia a tagliare il nastro di un progetto a cui insieme a suo figlio Andrea Farri ha lavorato per mesi: la donazione dell’archivio Paolo Poli all’Istituto per il Teatro e il Melodramma della Fondazione Giorgio Cini. «Da Firenze — afferma — non è arrivata nessuna richiesta, ma neanche noi abbiamo proposto qualcosa, siamo gente di teatro e la Fondazione si è mossa prima di tutti gli altri. Mio fratello Paolo era fiorentino, veneziano, romano, milanese. Certo, Firenze veniva prima di tutto e di tutti».

«Non lo sapevo, non ricordavo. Poi ho visto le foto. Così vecchie. Lui così giovane. Un ragazzo bellissimo…»

Si commuove un po’, Lucia Poli. Sono passati tre anni dalla morte del fratello Paolo. E lei è a Venezia a tagliare il nastro di un progetto a cui insieme a suo figlio Andrea Farri ha lavorato per mesi: la donazione dell’archivio Paolo Poli all’Istituto per il Teatro e il Melodramma della Fondazione Giorgio Cini.

Lucia passa in rassegna alcuni scatti che non poteva ricordare: aveva nove anni quando Paolo muoveva i primi passi d’attore con la Compagnia amatoriale dell’Alberello, a Firenze. Anche lei sarebbe diventata una grande attrice ma a quell’epoca guardava e ammirava il talento del fratello maggiore, al fianco di amici e compagni di primi passi sul palcosceni­co, che poi avrebbero fatto tanta strada: Alfredo Bianchini, Ferruccio Soleri, Ilaria Occhini, Beppe Menegatti, oggi regista e marito manager della étoile Carla Fracci...

Lucia Poli, perché avete scelto Venezia e non Firenze?

«Mio fratello Paolo era fiorentino, veneziano, romano, milanese. Certo, Firenze veniva prima di tutto e di tutti. Non è un caso se riposa alle Porte Sante, tra i grandi fiorentini. Ma la bellezza di Paolo è che si sentiva cittadino del mondo e non vogliamo legare la sua memoria a una polemica piccina o a un luogo ristretto. Ma al cuore di tutti gli appassiona­ti».

Come avete scelto, e perché?

«Non abbiamo niente contro Firenze. La mostra sulla sua vita e la sua opera l’abbiamo fatta nella nostra città prima che in qualsiasi altro luogo. Poi c’è stata l’intitolazi­one del Saloncino della Pergola a suo nome...».

A maggior ragione, non era meglio donarlo a Firenze, l’archivio di Paolo?

«Sempliceme­nte… è successo che nessuno ce l’ha chiesto, l’archivio, da Firenze. E non essendo pratici di queste cose, non siamo andati a proporre nulla».

Non avete fatto nemmeno un tiepido sondaggio con il Comune, per capire se fosse interessat­o?

«Siamo gente di teatro, non diplomatic­i o politici, non ci pensiamo a queste cose. Non ci è proprio venuto in mente. Mentre da Venezia dopo due anni (quindi lo scorso anno, ndr) ci hanno chiamato per chiederci il materiale. Alla Fondazione Cini sono bravissimi: digitalizz­ano tutto, fanno, operano, organizzan­o convegni. Insomma, nelle loro mani i materiali di Paolo rimangono vivi e non chiusi nelle scatole. Noi li tenevamo chiusi nelle scatole. Per questo Andrea (suo figlio, nipote di Paolo, erede titolare del fondo, ndr) gli ha detto di sì. È un bella cosa. La Fondazione è molto prestigios­a e soprattutt­o attiva. Ed è in una città che Paolo ha amato molto durante tutta la sua vita».

Se dal Comune di Firenze si fossero fatti vivi, cosa avreste risposto?

«Ne saremmo stati felici, certamente. Due o tre mesi fa ci hanno chiamato dall’Università e dal Gabinetto Vieusseux ma ormai eravamo già d’accordo con Venezia. Era troppo tardi. Tutto già fatto e chiuso. È stata una casualità. Quelli della Fondazione Cini si sono solo mossi prima».

Già, il Gabinetto Vieusseux. Sarebbe stato un luogo perfetto per questo genere di cose...

«Alba Donati mi ha spiegato bene, mi ha anche detto che posseggono già il fondo di Eduardo de Filippo e di altri grandi del teatro. Io non lo sapevo nemmeno che avessero e facessero queste cose. Ma ripeto: non si devono fare lotte tra città. Paolo è di tutti».

Lei e Andrea siete felici del risultato? Cosa vedremo a Venezia?

«Molto felici. Sono soprattutt­o copioni, tutti quelli che Paolo ha scritto. Con annotazion­i, locandine, manifesti, programmi di sala. E tutte le critiche di ogni spettacolo. Biglietti e lettere, come il telegramma di Gassman e altri attori che esprimevan­o solidariet­à a Paolo quando subì la censura per Rita da Cascia nel 1967… lui lo ha tenuto con grande affetto per tutta la vita. Noi non sapevamo nemmeno che esisteva. Erano tutti scatoloni chiusi, tanti faldoni, uno per ogni spettacolo». Sorprese anche per lei. «Sono tante le cose che non conoscevo degli inizi del lavoro di mio fratello, come gli spettacoli alla Borsa di Arlecchino a Genova alla fine degli anni Cinquanta, la cantina di Aldo Trionfo: ho ritrovato locandine e programmi di sala di quando aveva 20 anni e io ero una bambina. Nel 1958 si esibì lì con la prima compagnia profession­ale, era la sua prima scrittura ufficiale. Ma ci sono cose ancora più vecchie, quelle che faceva con i compagni di università nella Compagnia dell’Alberello mi hanno commosso».

Appartenen­za Paolo era fiorentino, veneziano, romano... Non leghiamo la sua memoria a un luogo ristretto

Rapporti

Siamo gente di teatro, non diplomatic­i... Non ci è venuto in mente di chiedere al Comune

Futuro

Alla Fondazione Cini i materiali di Paolo rimangono vivi. Noi li tenevamo in scatola...

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Lucia e Paolo Poli in «Apocalisse», 1973 (Fondazione Giorgio Cini)
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 ??  ?? Paolo e Lucia Poli ne «I tre moschettie­ri» (foto archivio teatro della Pergola). A sinistra, la firma ieri alla Fondazione Cini con la direttrice Maria Ida Biggi, Lucia Poli e il figlio Andrea Farri (foto Fondazione Cini)
Paolo e Lucia Poli ne «I tre moschettie­ri» (foto archivio teatro della Pergola). A sinistra, la firma ieri alla Fondazione Cini con la direttrice Maria Ida Biggi, Lucia Poli e il figlio Andrea Farri (foto Fondazione Cini)

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