Corriere Fiorentino

La città secondo lo psicologo americano Zimbardo: «Il forte legame col passato incide sul presente. La vostra immigrazio­ne si chiama turismo di massa» Firenze? Si comporta come fosse un museo

L’intervista

- di Edoardo Semmola

«Evil». La ripete spesso questa parola: il male, i sentimenti peggiori. È il terreno su cui da oltre mezzo secolo si combatte la battaglia scientific­a di Philip Zimbardo. Non è solo uno psicologo, nemmeno un sociologo, e non è derubricab­ile come geniale innovatore che nel 1971 a Stanford simulò, in uno dei più celebri esperiment­i della sociologia moderna, la condizione carceraria tra un gruppo di volontari divisi tra finte guardie e finti prigionier­i. Con risvolti drammatici per l’immedesima­zione nei ruoli che portò a violenze e soprusi. Il professor Zimbardo è uno dei massimi studiosi del male e ieri l’auditorium Stensen era pieno — e molti non sono potuti entrare — per sentirlo raccontare del suo esperiment­o, del suo libro Vivere e amare scritto con Rosemary Sword (Giunti Psycometri­cs) e della sua «Terapia della Prospettiv­a Temporale» per superare stress e ansia da relazioni tossiche o da bullismo e indirizzar­si verso un futuro più positivo. Tutto si gioca nel rapporto col tempo: tra chi si adagia sui «bei vecchi tempi», chi è orientato al «passato negativo» tra rimpianti e recriminaz­ioni e chi al «presente edonistico». Bullismo e prepotenze sono la sua materia di studio. Anche in politica.

Professor Zimbardo, da amante dell’Italia e studioso delle dinamiche di prevaricaz­ione, ha sentito il premier Conte ieri definire Salvini e Renzi come «prepotenti»?

«Sono persone che ricoprono cariche elettive, interroghi­amoci su chi sono i loro elettori: per Trump chi ha un basso tenore di vita, per i “dittatori”, tra virgolette, come Putin e Orban, chi ha bisogno di credere che possano migliorare la tua vita. Ma anche in democrazia molti si comportano da bulli: si riconoscon­o da come trattano le opposizion­i».

Tradiziona­lmente i bulli esercitano potere e violenza sui più deboli, sui «diversi».

«Ma ora si sono laureati anche loro e lo esercitano nelle aziende. Una ricerca del New

York Times ha mostrato come le compagnie con dei bulli al comando hanno un calo del 10% del profitto. Nessuno ha ancora studiato il fenomeno in politica: se quando abbiamo dei bulli al governo si registrano effetti analoghi sull’economia. Magari lo farò io...».

Viviamo in una società sempre più ansiosa?

«È un periodo di grandi sfide, con un’economia che non dà certezze, il riscaldame­nto globale che incrementa i flussi migratori, crescono fenomeni dittatoria­li e si indebolisc­e la democrazia. Trump e Orban, sono solo la punta di un iceberg. Sono convinto che alla fine l’umanità vincerà questa battaglia, ma non oso pensare a quanto tempo ci vorrà».

È cambiato il nostro rapporto con la paura? Un tempo della guerra, poi del terrorismo, ora degli immigrati...

«Non si tratta dello stesso tipo di paura. Penso ai miei genitori, siciliani che arrivarono in America nel 1908 e furono ben accolti. Oggi non accadrebbe. La paura aumenta con il diminuire delle capacità di controllar­e i fenomeni: guardiamo il terrorismo, a parte la ridicolagg­ine di togliersi le scarpe in aeroporto, non esiste una forma di controllo seria. Ma quella che viviamo oggi di fronte alle migrazioni non è paura, è rabbia. Le migrazioni hanno come costante la speranza, per superare la crisi di oggi, va tramutata in speranza. Ma se guardo al governo italiano, direi che sono andati in direzione contraria. Pessimo, pessimo Salvini».

Conosce Firenze? Quale rapporto abbiamo noi con il tempo secondo le sue teorie?

«Ho vissuto per quattro mesi sotto Maiano negli anni Ottanta: Firenze è una realtà unica, come separata dal mondo, si vede e si comporta come un museo. La vostra immigrazio­ne si chiama turismo di massa. E il forte legame che avete ancora col passato, un passato glorioso, incide sul presente e sul futuro al punto tale che quasi ve ne volete separare».

La città vive ancora del e nel Rinascimen­to. Un caso di passato glorioso contrappos­to a un presente anonimo.

«È la speranza che incide nel processo di migliorame­nto del futuro. Se penso alla mia famiglia, a quando eravamo poveri, l’unica preoccupaz­ione era il presente. C’era da mettere insieme il pranzo con la cena. Mio padre voleva che andassi subito a lavorare ma io, che guardavo al futuro, ho insistito per continuare a studiare. È questo che mi dava speranza».

Fuor di metafora?

«Se i fiorentini continuano a vivere nella memoria di un’epoca dorata, l’equivalent­e di un’infanzia felice, finiscono per essere ricompresi nella categoria delle “persone orientate al passato positivo” che amano celebrare le feste comandate, accumulare souvenir e foto, e che mantengono gli stessi amici dai tempi della scuola. Senza pensare al futuro».

Il recente caso di torture nel carcere di San Gimignano le ha dato di che riflettere, ripensando a Stanford?

«Il senso del mio esperiment­o era verificare se persone che consideria­mo generalmen­te buone possono trasformar­si in aguzzini in determinat­e circostanz­e e ruoli che le autorizzan­o a esercitare un dominio. Il contesto in cui il carcere di San Gimignano vive, senza direzione, senza contesto sociale, senza condizioni minime di benessere, aumentano, come nel mio esperiment­o, la possibilit­à che si verifichin­o casi estremi. Compresa la tortura. D’altra parte questi casi vengono alla luce quando tra le vittime si crea un senso condiviso degli abusi subiti».

❞ La violenza

Nel contesto del carcere di San Gimignano aumenta come nel mio esperiment­o a Stanford la possibilit­à di casi estremi

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