Corriere Fiorentino

Avanti Popoli, 60 anni di storie

Debuttò alla Pergola nel 1959 ed è la rassegna di cinema documentar­io più antica d’Europa Dagli esordi con il pubblico in abito scuro alle «barricate» con Jane Fonda, ecco come si è evoluto

- Di Marco Luceri

Sessant’anni di film, cultura, costume, politica, società. È arrivato a un nuovo importante traguardo il Festival dei Popoli (dal 2 al 9 novembre alla Compagnia e in altre sale e luoghi della città), il più antico festival europeo dedicato al cinema documentar­io, che proprio al Teatro della Pergola, tra il 14 e il 20 dicembre del 1959, iniziò una storia che dura fino ai giorni nostri.

«Scorrendo la storia del festival, possiamo vedere come si è evoluto non solo un genere, il documentar­io, ma il cinema stesso, il pubblico, le sale, la città e tutto quello che gli è stato intorno», ci racconta il direttore artistico Alberto Lastrucci. Già, perché fa una certa impression­e vedere le foto in bianco e nero, con le signore impellicci­ate e gli uomini in abito scuro, che a fine anni ‘50 fanno la coda fuori dalla Pergola per assistere a una rassegna di documentar­i «etnografic­i e sociologic­i» (come recita la didascalia che appare tra le più datate memorabili­a del festival). Tanto più sbalorditi­vo se si pensa che la temperie culturale che porta alla nascita del festival è legata alla nascente — ma guardata allora con malcelata sfiducia — antropolog­ia culturale italiana. «Nel dopoguerra il festival è una novità perché permette di vedere ciò che accade nel Terzo Mondo o comunque in paesi lontani — dice Lastrucci — e poi a Firenze il terreno è fertile perché si incontrano più tradizioni e istituzion­i, quella della sinistra marxista del Centro Italiano per il Film Etnografic­o, quella cattolico-progressis­ta rappresent­ata in aria fiorentina da Giorgio La Pira (nel comitato d’onore della prima edizione) e anche una certa aristocraz­ia mondana». Quella del 1959 resta un’edizione memorabile anche per un altro motivo: arrivano due grandi intellettu­ali della Francia postbellic­a, il sociologo Edgar Morin e il cineasta Jean Rouch, che grazie alla settimana passata a stretto contatto a Firenze (più che a Parigi!), decidono di realizzare un film, Chronique d’une été, il primo documentar­io «moderno», manifesto del cinema-verità.

I Sessanta e i Settanta sono anni di tumultuosi mutamenti. Il festival, come la società italiana ed europea, viene scosso dai rivolgimen­ti politici e dagli estremismi ideologici: «La sede si sposta al Palacongre­ssi e cambia anche il pubblico – continua Lastrucci – Crescono le barbe e i capelli, al festival molti giovani vanno non solo per guardare i film e difendere una specifica idea di cinema, ma soprattutt­o per fare politica. E così, nel 1968, mentre si sale sulle barricate anche a Cannes e Venezia, al Festival dei Popoli viene abolito il concorso, ritenuto una competizio­ne individual­ista, borghese e serva del mercato e si fanno dibattiti sempre più accesi». La foto che esprime meglio di ogni altra cosa lo spirito di quegli anni è quella che ritrae la diva antimilita­rista Jane Fonda che parla alla folla del Palacongre­ssi. È il 1974.

Con gli anni Ottanta cambia di nuovo tutto: «Nascono le sezioni tematiche – prosegue Lastrucci – accanto all’antropolog­ia cresce l’interesse per i documentar­i legati ai linguaggi dell’arte e della musica e il pubblico diventa sempre più settoriale. Sono anche gli anni in cui la tecnologia, con la nascita del video, rivoluzion­a il documentar­io: i film diventano più intimisti e la tensione politica quasi si spegne. Ed è così che il festival cambia anche la sua funzione, con il grande pubblico che si allontana, ma con uno zoccolo duro di spettatori che resiste e rilancia. È un fenomeno che si prolunga negli anni Novanta, tant’è che il festival si svolge in una sala più piccola, ma molto attiva, come l’Alfieri». È all’inizio degli anni Duemila che il documentar­io smette di essere di nicchia e torna a interessar­e il grande pubblico. La «rivoluzion­e», non solo di carattere estetico, la fa Michael Moore, che con il suo stile creativo e affabulato­rio vince con Fahrenheit 9/11, la Palma d’Oro a Cannes. È il ritorno del grande pubblico e della rinnovata centralità di un genere che dà nuova vita a un cinema che appare ormai vittima di un inarrestab­ile declino. «Alla fine degli anni Duemila il festival torna a crescere – osserva Lastrucci – sono gli anni in cui l’Odeon ci regala serate stracolme, grazie a un lavoro che è continuato fino alle ultime edizioni, svoltesi alla Compagnia». Ora il festival è pronto a intraprend­ere un nuovo decennio di sfide. Ma sempre con uno sguardo rivolto alla storia che si porta dietro: «Abbiamo un archivio di 250 pellicole e 25.000 video. Sono il lascito più significat­ivo di questi 60 anni ed è un patrimonio per Firenze, l’Italia e il mondo intero che ha sempre bisogno di una nuova vita. Proprio come il Festival».

Il direttore Alberto Lastrucci Nel dopoguerra permise di vedere ciò che accadeva nel Terzo Mondo

Nel ‘68 fu abolito il concorso ritenuto una competizio­ne serva del mercato Oggi abbiamo un archivio di 250 pellicole e 25 mila video, un patrimonio per Firenze, l’Italia e il mondo

 ??  ?? Jane Fonda nel 1974 al Palacongre­ssi durante il Festival dei Popoli (e delle contestazi­oni)
Jane Fonda nel 1974 al Palacongre­ssi durante il Festival dei Popoli (e delle contestazi­oni)
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Il manifesto dell’edizione 2019 del Festival
 ??  ?? La prima rivista edita nel dicembre del 1959
La prima rivista edita nel dicembre del 1959
 ??  ?? Il pubblico in coda al Teatro della Pergola nel 1960
Il pubblico in coda al Teatro della Pergola nel 1960
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