E il corbezzolo (patriottico) soppianta l’ulivo
Un corbezzolo. E poi un «10» enorme che ricorda il numero della Leopolda, ma anche quello di Maradona. Quanti simboli sul palco.
Per la prima volta nella storia della Leopolda sul palco c’è qualcuno che spicca più di Matteo Renzi. È il corbezzolo che guarda imperturbabile la platea e che sembra destinato a diventare il simbolo della fondazione di Italia Viva.
«È un albero che non cresce tanto in altezza rispetto ad altre specie, ma ha una grande velocità di insediamento, è resistente ai parassiti e anche agli incendi. È chiaro il messaggio?», ridacchia un renziano della prima ora che in tasca ha la tessera del Pd. Ma ancora per poco. «Domani (oggi, ndr) si riparte. Sempre con Matteo, ovviamente», dice alludendo al battesimo ufficiale del nuovo partito renziano, di cui stasera alle 18 sarà svelato il simbolo — sarà molto probabilmente quello più semplice dei tre proposti dall’ex Rottamatore nel sondaggio lanciato online: sfondo bianco, «Italia» in blu e «Viva» in rosso. I colori del renzismo in ascesa, quelli della Leopolda 2012, che si svolse una settimana prima della sfida aperta al «vecchio» Pd rappresentato dal segretario Pier Luigi Bersani e che guarda caso si intitolava «Viva l’Italia viva». Sarà che questo è il decennale, sarà che c’è bisogno di qualche certezza perché il viaggio partito ieri — sul palco ci sono le valigie come in altre Leopolde, ma stavolta sono quelle di chi cambia casa e città — nessuno sa come finirà, ma Renzi rispolvera pure la divisa d’ordinanza del Rottamatore che aveva promesso di essere: camicia bianca e jeans. E la kermesse si apre con un video che celebra le passate nove edizioni con la musica e le parole di Jovanotti, una costante dell’immaginario renziano.
Epperò tutto l’entusiasmo, in qualche caso l’esaltazione, dei sostenitori renziani non si può ridurre alla nostalgia. La verità è che tra i leopoldini si respira un senso di liberazione. Lo scorso anno tanti gli chiedevano di rompere col Pd, di lanciare una lista civica nazionale con terminazioni locali. Ora che il leader li ha accontentati, i fan che devono fare? Applaudono a tambur battente, urlano «vai Matteo!», dal fondo della vecchia stazione del Granduca lo spingono sul palco — a forma di T, proprio come nei mega-concerti — come una rock star, si accendono quando l’ex premier cita Teresa
Bellanova, loro madrina indiscussa.
Sulle pareti campeggiano le citazioni motivazionali che piacciono tanto a Renzi, quest’anno quasi tutte incentrate sulla ripartenza, sulla rinascita. «Cambiare è la regola della vita. E quelli che guardano al passato o al presente, certamente perderanno il futuro» (John Fitzgerald Kennedy). «Gli inizi hanno un fascino indescrivibile» (Moliére). «Non puoi tornare indietro e cambiare l’inizio ma puoi iniziare dove sei e cambiare il finale» (Clive Staples Lewis, l’autore delle Cronache di Narnia). E via così. Partenza, viaggio, nuovo inizio: ma per andare dove? Per fare cosa? Per chi diceva di voler cambiare tutto o quasi, non è un po’ poco «sognare» un partito dal 4 per cento, come lo fotografano oggi i sondaggi, ma anche del 10% (l’obiettivo di Renzi da qui alle prossime elezioni politiche)? «Sai che il corbezzolo è l’albero più patriottico che ci sia? I suoi frutti sono rossi, i fiori bianchi e le foglie verdi», dice l’esegeta renziano.
Fuor di poesia, sembra il tanto decantato (in passato) «Partito della Nazione». Aggiornato, 2.0, macroniano («non citate Macron ché non porta benissimo!», avverte però un fedelissimo di Renzi), ma pur sempre «Partito della Nazione». Poco prima della Leopolda numero 1, anno 2010, con Renzi sindaco di Firenze da un anno, nella vecchia stazione di Porta al Prato si svolse la Fiera del Vintage. Vestiti e scarpe, non politica. Di lì a tre mesi negli stessi spazi dominava lo striscione «Al passato grazie, al futuro sì» e il logo di «Prossima Fermata Italia»: un treno che arriva a tutta velocità. C’era Dario Nardella col pizzetto, c’era Beppe Civati, c’era l’ex direttore dell’Economist Bill Emmott. Lontano da lì un vecchio democristiano come Beppe Fioroni giudicava così la prima edizione della kermesse renziana: «Scuotono l’albero, magari sbagliano il modo di scuoterlo». Stavolta che verrà giù, da quel corbezzolo?