Gli scalatori delle cave abbandonate
L’impresa di un gruppo di professionisti in un documentario girato sulle Alpi Apuane «Vogliamo scuotere le coscienze per pensare a un nuovo utilizzo delle cave, al di là dell’escavazione»
Le cave di marmo di Carrara sono state coltivate per secoli, hanno dato vita alle sculture di Michelangelo e Canova, sono state sventrate, sequestrate; si sono macchiate di sangue per le morti dei cavatori sul posto di lavoro e sono diventate, in alcuni casi, mete turistiche di straordinaria bellezza, palcoscenici per concerti e set fotografici. Ma è la prima volta che vengono scalate, come fossero una parete rocciosa del Monte Bianco.
Si chiama Carie il progetto creato da Marzio Nardi, che assieme ad altri quattro scalatori professionisti, un fotografo, Federico Ravassard e un videomaker, Achille Mauri, ha girato a Cava Valsora, sulle Alpi Apuane, le immagini della prima arrampicata umana su una liscia parete di marmo bianco. Ne è nato un documentario, arricchito dalle testimonianze dei cavatori massesi, che hanno raccontato la loro vita, fatta di sacrifici, lacrime e paure, che verrà presentato, assieme ad una mostra fotografica, oggi al «Sustainable Outdoor Days» di Milano Montagna 2019. «Il mio desiderio di scalare la parete di una cava di marmo — racconta Marzio Nardi — nasce cinque anni fa. Concretizzarlo è stato un’impresa. Occorreva il luogo giusto, l’attrezzatura adatta, compagni che mi seguissero, e il coraggio di fare qualcosa d’impensabile. Volevo riuscire a trovare il bello in un luogo che è simbolo di una ferita profonda dell’ambiente e interpretare le cave di marmo in maniera diversa». E fu così che la scorsa primavera il team di scalatori, formato da Francesca Medici, il fiorentino Luca Andreotti, Lorenzo Carasio, Luca Bana e Marzio Nardi, è entrato in una cava di marmo delle Alpi Apuane, con l’intento di scoprire se fosse possibile adattalo re la loro scalata alle forme geometriche create dall’uomo attraverso secoli di scavi. L’aneddoto può essere raccontato soltanto perché finito bene: «La prima volta che siamo entrati a cava Valsora — racconta il team — non avevamo i permessi, perché non credevamo ce ne fosse bisogno; girovagando per la cava, ad un certo punto, ci siamo ritrovati circondati da numerosi pickup, da cui sono scesi i titolari giustamente adirati con noi. Ma la stessa sera eravamo loro ospiti, attorno al fuoco di una grigliata a lavorare insieme per questo progetto». «La scalata l’abbiamo vissuta appieno— racconta uno degli scalatori Lorenzo Carasio — Siamo abituati ad arrampicarci su roccia naturale e abbiamo dovuto definire ciò che ci siamo trovati davanti: un qualcosa alstesso tempo artificiale e presente in natura; non abbiamo mai modificato la parete di marmo: abbiamo utilizzato le linee naturali della cava, aggrappandoci alle fessure tra pietra e pietra, creatisi durante le manovre di taglio dei blocchi».
Cava Valsora è oggi una cava inattiva: il Parco delle Alpi Apuane ne bloccò l’escavazione anni fa, quando tra il marmo, la polvere, e gli scarti della lavorazione, venne scoperta una colonia di tritoni alpestri, anfibi di pochi centimetri sopravvissuti miracolosamente alle ruspe e oggi protetti dal WWF; la parete di cava è alta circa 50 metri, il paesaggio è lunare e bianchissimo. «I titolari della cava ci hanno mostrato anche i tritoni — racconta Nardi — Abbiamo visto in quel miracolo di vita una speranza per l’intero sistema». Prepararsi alla scalata è stato impegnativo, e difficile: l’impresa è stata ripresa dal basso, dall’alto attraverso droni, e filmata dalla cima della cava. Mesi di lavoro, per creare un progetto in cui l’arrampicata, alla fine, è risultata soltanto la co-protagonista, ospite di un ambiente in cui la presenza dell’uomo fa a pugni con un’estetica tanto maestosa quanto brutale. «Sopra di noi — continua Nardi — un contrasto continuo: la parete è liscia, ma il marmo in realtà è poroso, perché ancora non trattato; è stata una sensazione tattile eccezionale».
«Ci ho messo un po’ tempo a capire come muovermi — racconta Carasio — scivolavo, mi sembrava di non aver equilibrio, come se i campionati del mondo di arrampicata sportiva non mi avessero insegnato nulla. Intorno a me quel paesaggio così bianco quasi mi stordiva; sembrava di essere sospesi sulle nuvole; gli occhi vedevano solo luce, e l’uniformità della parete di cava dava l’idea di una linea infinita e precise forme geometriche». «Arrivato in cima — racconta ancora Marzio Nardi — il sentimento è stato contrastante: non capivo se mi trovavo di fronte ad un panorama bellissimo, o terribile. Affascinante sicuramente sì. Un insieme di pareti artificiali, che sono però anche le più naturali al mondo».
Il progetto, che punta a girare l’Italia e a passare soprattutto da Firenze, città natale di uno degli scalatori, ha lo scopo di scuotere le coscienze, per pensare ad un nuovo utilizzo delle cave di marmo, al di là dell’escavazione. Un obiettivo tanto nobile quanto ambizioso, che si scontra con la realtà di uno dei comparti produttivi più discussi e più ricchi del pianeta, che nel 2018, secondo gli ultimi dati del Rapporto economia della Camera di Commercio, soltanto nel distretto di Massa Carrara ha mosso 2 milioni di tonnellate di marmo, per un valore di 1.052.312.831 euro, corrispondenti al 59,91% delle quantità e al 56,32% del valore di tutto l’export lapideo italiano.
Dentro la Cava Valsora Quel paesaggio così bianco quasi mi stordiva e arrivato in cima non capivo se mi trovavo davanti a un panorama bellissimo o terribile