Lo scrittore a Pistoia col manifesto del romanzo di oggi
Rodrigo Fresán domenica sarà a Pistoia per parlare del nuovo libro «La parte inventata» Un manifesto del romanzo contemporaneo, monumento alla sua natura meticcia che ingloba ogni cosa
È stato definito anche un «Borges pop» lo scrittore Rodrigo Fresán, tra i maestri della letteratura argentina e latinoamericana. Domenica alle 11.30 sarà a Pistoia alla Biblioteca San Giorgio, ospite del festival «L’anno che verrà. I libri che leggeremo», per parlare in anteprima del romanzo «La parte inventata», il numero 8 di Phileas Fogg, la collana di narrativa straniera diretta da Alessandro Raveggi, e primo libro di una trilogia. La traduzione è di Giulia Zavagna, l’introduzione di Vanni Santoni, di cui pubblichiamo una sintesi. Il libro uscirà il 31 ottobre.
Una delle prime cose che si insegnano agli aspiranti scrittori – e La parte inventata di Rodrigo Fresán è anche un libro sugli aspiranti scrittori – è di non esagerare con le epigrafi: se già apporne due rischia di far sembrare presuntuoso l’autore, tre o più lo faranno apparire certamente ridicolo se il libro non è almeno un «romanzo-mondo». Si capisce allora che un volume che apre con sedici epigrafi tende a creare determinate aspettative nel lettore, anche quando le epigrafi, come è questo il caso, recano in sé un gioco: l’unica cosa che cambia è che il lettore si aspetterà un romanzo dal carattere giocoso oltre che un’opera grandiosa.
Per fortuna La parte inventata soddisfa in pieno entrambe le aspettative. Che tipo di gioco sia quello che si mette in atto in questo libro, è facile intuirlo non appena si incontrano – e avverrà per tutte le sue settecento pagine – teorie di ogni genere sulla letteratura (c’è spazio anche per un canone immaginario e una biblioteca ipotetica): una delle tante cose che fa La parte inventata è ribadire che oggi, per sopravvenuta e piena integrazione della lezione modernista e di quella postmoderna, i romanzi-mondo non possono prescindere dalla metaletterarietà. Se è vero che una volta i protagonisti dei libri più importanti erano dèi, poi diventarono semidei, poi eroi, poi nobili, poi borghesi, poi uomini comuni, poi emarginati e infine scrittori, il protagonista della Parte inventata, preso in diverse età della sua vita, è naturalmente, ineludibilmente, uno scrittore. Un uomo che ha consacrato la propria esistenza alla letteratura, e che tuttavia si è a un certo punto stanscorgono cato di tutto ciò che gira attorno ai libri (o sono i lettori a essersi stancati di lui?), senza aver però rinunciato all’idea fissa che sta dietro a ogni percorso letterario che si voglia dir serio: la ricerca di una verità ultima attraverso di esso.
Che fare allora? Dato che stiamo giocando, e dato che la lezione del postmodernismo nel frattempo è stata sì assimilata, ma anche sublimata in nuove direzioni, su tutte il post-materialismo, il nostro scrittore senza nome decide di scomparire e al tempo stesso rendersi finalmente pervasivo nel modo più drammaticamente cosmico (e comico) che si possa immaginare: intrufolarsi al Large Hadron Collider del CERN, fondersi al Bosone di Higgs – la cosiddetta «particella di Dio» – e disintegrarsi diventando una sorta di metaautore assoluto, innervante la realtà medesima. Il gioco è fatto allo scoperto e dietro si diverse allegorie – uno scrittore che scompare nel nulla ma influenza chiunque: stiamo parlando di Salinger? O sarà forse Pynchon? –, sulle quali spicca una domanda centrale: perché scriviamo? Perché leggiamo? Cosa speriamo di ottenere?
Per quanto le soluzioni strutturali usate nel romanzo debbano molto ai postmoderni statunitensi – e nordamericani, pure, sono i fantasmi che lo popolano (si ha l’impressione che, nel mondo di Fresán, sia stato Fitzgerald a farsi disintegrare, per come, assieme al suo Tenera è la notte, pervade il campo elettromagnetico di ogni pagina) –, la vera chiave della Parte inventata arriva dall’oriente: «Il biji» spiega lo scrittore protagonista del libro di Fresán, «è un genere della letteratura classica cinese, che si può tradurre come ‘libro di appunti’, e può contenere aneddoti curiosi, appunti, pensieri sparsi, speculazioni filosofiche, teorie private, annotazioni su altre opere, e qualsiasi cosa il suo autore consideri pertinente».
Così, con le sue «zone a punti», i suoi elenchi, le sue elucubrazioni e le sue scatole cinesi, La parte inventata appartiene in pieno al genere del biji e tuttavia, lungi dal distanziarsi dalla forma-romanzo, quest’opera in tre atti e sette parti, nel suo essere sia la storia della formazione di un bambino che vuole diventare uno scrittore (e «sa che non può considerarsi un vero scrittore finché non avrà pubblicato e, a passeggio per una libreria, contemplato com’è stata esposta la propria opera per poi spostarla e sistemarla sui tavoli più in vista»), sia «un libro che pensa come uno scrittore nell’atto di mettersi a pensare a un libro, a cosa pensa quando gli capita di pensare a un libro, quando quel libro gli capita, e cosa capita a quel libro», è un vero e proprio manifesto del romanzo contemporaneo: un monumento alla sua natura meticcia, capace di inglobare ogni cosa, nonché un promemoria circa il suo essere, oggi più che mai, l’ammiraglia che la letteratura può schierare nel tentativo di venire a capo della realtà – tutto questo, ma anche una scintillante storia sul modo in cui gli scrittori da un lato divorano e dall’altro falsificano le proprie vite per distillarne materiale letterario, e su quanto tale processo sia simile a ciò che ci porta a disegnare, attraverso la nostra biografia ricordata, l’idea che abbiamo di noi: un romanzo capace di farci ammettere, come il Gerald Murphy dalla cui vita Fitzgerald attinse a man bassa per scrivere Tenera è la notte, che «solo la parte inventata della nostra storia – la parte più irreale – ha avuto una vaga struttura, una vaga bellezza».
❞ Il protagonista decide di scomparire e rendersi pervasivo intrufolandosi al Large Hadron Collider del Cern per fondersi alla particella di Dio e diventare una sorta di metaautore assoluto