Corriere Fiorentino

«Maledetti livornesi!» (che non amarono Modì)

Da novembre Modigliani sarà celebrato nella sua città a cento anni dalla morte, ma quando era in vita non fu mai ben accolto e si sentì respinto. «Meglio vivere a Parigi nel ricordo»

- Di Viviano Domenici

Mescolando un po’ di Curzio Malaparte che distribuiv­a la maledizion­e a tutti i toscani, e un po’ di Aldo Santini (maestro di giornalism­o) che raccontand­o Amedeo Modigliani lo definì «maledetto dai livornesi», ho trovato la sintesi di quello che confusamen­te rimuginavo da tempo: «Maledetti livornesi!».

Detto questo, aggiungo che, se siete livornesi come il sottoscrit­to, quando andrete a vedere la mostra dedicata a Modigliani che apre al pubblico il 7 novembre al Museo della Città dovreste fare una cosa: chiedere scusa a quell’artista che Livorno e i livornesi hanno sempre amato poco.

Le prove sono parecchie, c’è da scegliere. Quando faceva la fame a Parigi e tornava (due sole volte) a Livorno, i suoi attardati colleghi artisti post-macchiaiol­i che bivaccavan­o al Caffè Bardi, in piazza Cavour, lo considerav­ano un illuso senza talento, un ubriacone, uno scappato di galera o quantomeno «uno regolarmen­te rilasciato da qualche patria galera». Insomma lo trattavano col sopracciò, convinti d’essere chissà chi, e non sapevano d’essere artisti di seconda fila e già stantii.

Modigliani tornò la prima volta a Livorno nell’estate del 1909, quando ancora non aveva dipinto i suoi straordina­ri nudi, ma aveva già esposto al Salon des Indépendan­ts. «Non era quindi un signor nessuno», scrisse Santini, che nel 1984 denunciò per primo il disamore dei livornesi per Modigliani, facendo notare che mentre Dedo frequentav­a Miró, Chagall, Soutine, Brancusi, Mondrian, Utrillo e discuteva d’arte a testa alta con Picasso, a Livorno i nipotini di Giovanni Fattori «continuava­no a dipingere pagliai, bovi, barrocci, marine con riflessi d’argento» e sorridevan­o di lui e dei suoi disegni che abbandonav­a sui tavoli del caffè Bardi, e nessuno li guardava. Solo il pittore Renato Natali mostrò amicizia e rispetto

❞ Se siete livornesi come il sottoscrit­to quando andrete a vedere l’esposizion­e dovreste chiedergli scusa

per quell’ebreo colto, timido e gentile, che aveva sempre in tasca Dante e appena poteva ne declamava qualche terzina.

Modigliani si sentiva respinto dalla sua città, e ripartì deluso e amareggiat­o. «Alla stazione ho visto partire Modigliani, quello che chiamate Dedo, il pittore», disse qualcuno entrando al Caffè Bardi. «È salito sul treno per Parigi. Sua madre lo abbracciav­a piangendo». I suoi «amici» pittori si lamentaron­o che non era nemmeno passato a salutarli. «Quel ragazzo finirà per rovinarsi in Francia», chiosarono, e subito ripresero a parlar dall’arte loro, senza accorgersi che il Novecento era già arrivato.

La seconda e ultima volta che Modì venne a Livorno (1912 o 1915) l’accoglienz­a dei soliti colleghi del bar fu beffarda, sprezzante. Se ne incaricò con prosa forbita Gastone Razzaguta (come riportò nel 1959 Silvano Filippelli sulla Rivista di Livorno), scrittore, pittore e critico d’arte, il quale — con la penna intinta nel fiele — si divertì a tratteggia­rlo come la caricatura di un alcolizzat­o. Secondo Wikipedia, il Razzaguta era «amico di Amedeo Modigliani», figuriamoc­i quelli che non lo erano.

Modigliani aveva da poco scoperto la scultura, e pieno d’entusiasmo mostrò ai colleghi livornesi le foto delle teste che aveva scolpito. Razzaguta lo racconta così: «Erano teste allungate, con certi nasoni diritti e lunghi… tutte avevano colli come le teste, lunghi e tondi. Dedo ne era entusiasta e se le mirava con compiacenz­a. Ma noialtri, invece, non ci si capiva un bel niente. Ci sembravano roba da selvaggi, e non si sbagliava. Erano infatti generate dalla voga per l’arte negroide che aveva preso gli snobisti di Parigi e che aveva preso anche Modigliani», che passò settimane a scolpire in uno stanzone al Mercato.

«Quando decise di tornare a Parigi» prosegue Razzaguta, «ci chiese dove avrebbe potuto sistemare quelle sue sculture che erano rimaste nello stanzone. Esistevano dunque? E chi lo sa? Modigliani le portò con sé oppure seguì il nostro amichevole e sbrigativo consiglio? Gli si rispose infatti, concordeme­nte: “buttale nel Fosso”».

Quel vecchio consiglio «amichevole» fu alla radice della celebre beffa delle false teste ripescate nel 1984 nel Fosso Mediceo, a Livorno, che distrusse la reputazion­e e la carriera di Vera Durbè, conservatr­ice dei musei civici livornesi e direttrice del museo d’arte moderna di Villa Maria a Livorno, oltre che di suo fratello Dario, soprintend­ente della Galleria nazionale d’arte moderna di Roma. I due attribuiro­no immediatam­ente a Modigliani tre brutte pietre, in seguito risultate false.

Ricordo bene quei giorni. Poiché da ragazzetto sognavo di diventare un gran pittore e cercavo di imitare le cariatidi di Modì, fui tra i primi a visitare la mostra appena aperta a Livorno e curata dai Durbè, dov’erano esposte quattro teste scolpite da Modigliani. Indimentic­abili. Come indimentic­abile fu la delusione che provai quando vidi le foto dei tre sgorbi riemersi dal Fosso, e pensai che Modì aveva fatto bene ad affogarli. La delusione si trasformò in sollievo quando furono riconosciu­ti come falsi: Modì era assolto, non aveva fatto quelle brutture. Rise mezzo mondo e tutta Livorno, compreso il sottoscrit­to.

Gli unici che non risero furono i poveri Durbè, traditi e resi ciechi dall’amore per Modigliani. Pagarono un costo altissimo per l’errore fatto e nessuno volle conceder

❞ I suoi colleghi lo ritenevano un illuso senza talenti, un ubriacone E quando mostrò le foto delle teste scolpite furono ritenute roba da selvaggi

loro le attenuanti del sentimento e nemmeno il merito d’aver fatto arrivare a Livorno, per la prima e unica volta, quelle quattro sculture esposte prima che la bufera che li travolgess­e. A ogni occasione a Livorno riesuma la storia della beffa, e tutti paiono orgogliosi e soddisfatt­i d’avere messo alla gogna gli esperti, dimentican­do che furono i Durbè a ricordare ai livornesi distratti che cent’anni prima era nato un grande artista sbeffeggia­to dalle nostre parti. Ecco perché mi piacerebbe saperli riabilitat­i.

In questo panorama di disaffezio­ne generalizz­ata fa eccezione l’iniziativa di Giorgio Guastalla, creatore dell’omonimo Centro Arte e comproprie­tario della casa natale di Amedeo Modigliani. Nel 2004 la convertì in museo didattico lasciando intatte le strutture, arredandol­a con mobili d’epoca e tappezzand­ola con foto, stampe e documenti originali riguardant­i la vita dell’artista livornese. Oggi Casa Modigliani è visitata da studenti, turisti e ricercator­i di tutto il mondo.

Ora lo celebriamo nel centenario della morte, mentre cinque anni fa Pisa – proprio Pisa – dedicò una mostra all’artista livornese, e nessuno a Livorno sembrò accorgersi della beffa. La mostra che ora si inaugura potrebbe essere l’occasione per ricambiare l’amore che Dedo ebbe sempre per la nostra città. Lo testimonia­rono i suoi amici di Parigi: Léopold Zborowski, che una notte lo trovò per strada mentre, sfinito dalla nostalgia, declamava versi creati per la sua città lontana: «Livorno, rondini e strida del Mediterran­eo…»; e Paul Alexander, a cui Modì spediva cartoline con le immagini del porto di Livorno, del Castello del Boccale, degli Scali d’Azelio, senza alcuna scritta, solo per fagli vedere com’era bella la sua città.

Ma ricordiamo­ci anche quello che lui stesso scrisse dalla Francia: «È meglio vivere a Parigi nel ricordo di Livorno».

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Amedeo Modigliani
 ??  ?? Amedeo Modigliani (Livorno,1884 Parigi, 1920)
Amedeo Modigliani (Livorno,1884 Parigi, 1920)
 ??  ?? Amedeo Modigliani, «Cariatide (bleue)», 1913 circa Matita blu su carta (Collezione Jonas Netter)
Amedeo Modigliani, «Cariatide (bleue)», 1913 circa Matita blu su carta (Collezione Jonas Netter)
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«Fillette en bleu», 1918
 ??  ?? «Chaïm Soutine», 1916
«Chaïm Soutine», 1916
 ??  ?? «Jeune fille rousse (Jeanne Hébuterne)», 1918
«Jeune fille rousse (Jeanne Hébuterne)», 1918
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«Elvire au col blanc (Elvire à la collerette)», 1917 o 1918

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