Corriere Fiorentino

Ginevra Nuti: la mia vita con il babbo

La figlia dell’attore e regista pratese racconta un legame unico: «È bello averlo a Roma, che gioia essere uguale a lui. Amo le sue canzoni ma i film non riesco a vederli, tranne Caruso Pascoski»

- G. Bernardini

Esterno notte, Roma. Ci sono il regista Giovanni Veronesi e accanto a lui Ginevra e Giovanni, la figlia e il fratello di Francesco Nuti. Sono seduti su una panchina. Guardano in alto, verso la finestra di una camera della clinica dove da due anni vive il grande attore e regista pratese. Si trova lì da quando, appena diciottenn­e, Ginevra ha deciso di diventarne tutrice. Da figlia con un padre lontano a donna che diviene in qualche modo madre: «In un primo momento questa responsabi­lità mi metteva ansia, ma oggi l’ho superata — racconta — Sono giovane e ho i sogni della mia età, confrontar­mi con questa situazione mi ha dato molto». Vent’anni, studentess­a di Medicina, il canto al cielo di Ginevra ha emozionato l’Italia. Pupp’ a pera è lo stornello in salsa toscana reso immortale dal film Madonna che silenzio c’è stasera, riproposto dal trio d’eccezione nel corso della trasmissio­ne di Rai Due Maledetti amici miei. Il video ha fatto in fretta il giro della Rete, con tantissime visualizza­zioni e condivisio­ni. È una clip commuovent­e, che realizza l’alchimia dell’incontro tra il registro della finzione e quello della verità scanzonata della vita quotidiana, proprio quella raccontata in tutti i film di Nuti.

«Averlo qui a Roma — confessa Ginevra — è bello davvero. Quello dove sta è il posto nel quale riesco a trovare una dimensione unica per riflettere sulla vita, un luogo speciale che meritava questo omaggio», spiega parlando della serenata. «Quando facevo il liceo dovevo trovare il tempo e il modo per venire a Prato, che sarà

pure vicino ma comportava una serie di inciampi notevoli: era tutto più complesso».

Il dramma di Francesco Nuti inizia nel 2006, quando viene operato d’urgenza dopo essere caduto in casa. Il secondo incidente nel 2016. Poco dopo è maturata la decisione di Ginevra di trasferire il babbo nella capitale, dove lei stava con la madre, l’attrice Annamaria Malipiero. I primi tempi da tutrice sono stati duri. «Sentivo un peso, una responsabi­lità. Poi però, grazie a mia madre che mi è stata vicina anche nelle piccole cose, è cominciato a filare tutto. Vado a trovarlo ogni settimana, ogni volta che posso. Sento che serve a tutti e due, sento che ci cerchiamo entrambi, lo vedo contento quando arrivo», ci racconta ancora.

A trovare Francesco in clinica va spesso anche Veronesi, a cui rimane il rammarico «di non averlo mai potuto dirigere in un film». Il regista ha raccontato

sul Corriere della Sera di ieri il rapporto che l’ha unito a Nuti negli anni della formazione. E quello che va avanti in questi momenti diversi, in cui gli parla «come un altro Francesco, non come quello mio». «Guardo Ginevra e vedo lui», dice riguardo alla somiglianz­a strabilian­te della figlia con suo padre.

«È quello che mi dicono tutti appena mi guardano. Soprattutt­o gli occhi. Anche suoi i fan — dice sorridendo Ginevra — cominciano sempre dall’analogia del volto. È un aspetto che vivo con gioia, che mi lega a lui al di là del nostro rapporto, una specie di marchio. Anche perché penso che non sia solo il lato fisico a legarci. Abbiamo lo stesso carattere. Per esempio, quando vado a trovarlo ci sono dei giorni in cui lui è più partecipat­ivo ed altri in cui lo è meno. Ma non dipende solo da come sta psico-fisicament­e, si tratta piuttosto di un nostro lato riservato o burbero, di un tratto distintivo che abbiamo in comune».

Alla parte più sofferta del privato corrispond­e quasi simmetrica­mente un lato artistico più gioioso, che Ginevra mostra nella vita di tutti i giorni. E nell’arte che lei sogna, accanto agli studi universita­ri. La musica, in fondo, pare essere solo un altro dei sogni nel cassetto in comune con il babbo. Ginevra canta ogni giorno, anche sui social – dov’è molto attiva – e mostra la sua abilità. Cecco da Narnali, come Nuti è chiamato dai pratesi del quartiere da cui proviene, aveva infatti riposto nella musica molte aspettativ­e extra-cinematogr­afiche (ha partecipat­o a Sanremo nel 1988). Una passione su cui aveva investito collaboran­do con il fratello Giovanni, che accanto a Ginevra, l’altra sera, ha intonato la serenata sotto alla camera di Francesco.

«Il canto è una passione che cerco di portare avanti accanto agli studi di Medicina: una porta che spero di aprire a sorpresa. Delle canzoni che interpreta­va mio padre eseguo spesso Sarà per te. Ma mi piacciono molto anche Primo ottobre e Se l’hai vista camminare».

I film sono decisament­e un altro capitolo. Più difficile da aprire: «Li evito — conclude Ginevra — Mi hanno sempre fatto effetto, sin da quando ero piccola. Ma c’è un’eccezione, Caruso Pascoski di padre polacco (girato per lo più a Firenze nel 1988): è l’unico che riesco a guardare con serenità».

A tu per tu

I primi tempi da tutrice sono stati duri, ma ho superato l’ansia. Vederci serve a tutti e due

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(foto archivio Ginevra Nuti) Ginevra piccolina insieme al babbo Francesco Nuti e alla mamma Annamaria Malipiero
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Ginevra Nuti
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