L’angolo zen con 20 stagioni tra le chiese e il tartufo re
BELLI & BUONI La cucina vegetariana e selvaggia di Marino in un luogo di condivisione
Un ristorante zen guidato da uno spirito libero che ha girato il mondo prima di trovare uno spazio suo dove può continuare a sperimentare e conoscere. Un luogo di cucina vegetariana e vegana immerso nella storia. Siamo a San Miniato. In pieno centro storico, in via IV Novembre, prima di raggiungere Palazzo Grifoni, uno dei capolavori del Vasari, c’è una doppia vetrina in legno scuro. Spicca per la generosità e i colori dei frutti ornamentali esposti. Un tempo vi era la vecchia Drogheria di G. Corri, l’insegna vigila ancora in alto.
Nel maggio scorso ha aperto Maggese — Cucina agricola spontanea con al timone Fabrizio Marino, 40 anni, empolese. Cresciuto con una filosofia «nomade» fatta di esperienza sul campo si è formato in grandi ristoranti come quello di Pietro Leemann, il Joia di Milano (il primo vegetariano europeo con la stella Michelin), ma anche a casa sua: per anni al fianco, proprio a San Miniato, di Paolo Fiaschi al ristorante Papaveri e Papere. Nel mezzo tanto studio e pratica in Giappone. Maggese non è solo una cucina ma un luogo aperto e spirituale. L’intenso profumo di incenso che arde e inebria appena varchi la soglia del locale lo testimonia. Poi c’è il bonsai, una biblioteca, l’arredo è minimale con alcuni piattini che sono pezzi unici fatti dai monaci nei monasteri giapponesi. La cucina di Marino si può riassumere con alcune parole: selvaggia, libera, pura. «Non mi importa che le creme siano lucide o i piatti perfetti — dice — quel che conta è la sensazione del prodotto all’assaggio. Il piatto va esplorato e la casualità non esiste nella mia cucina». Allo chef table, una lastra spessa di marmo di Carrara, Marino cucina e parla, si siede e serve, interloquisce con gli ospiti che preferiscono un discorso diretto con lui, mangiando assieme. Una cucina il più aperta possibile alla condivisione e che vuole esaltare il Made in Italy. «Qui trovano posto non solo i vegetariani e vegani, ma anche gli allergici al glutine o alla frutta secca. Possono avere un menu completo proprio come gli altri». I menu degustazione sono due: uno con i piatti «irrinunciabili», scelti dagli stessi clienti a 45 euro (il prezzo aumenta col tartufo) e l’altro più sperimentale a 55 euro. Lo chef dà inoltre la possibilità di scegliersi un tartufo e portarselo al tavolo, aggiungendolo a piacimento. «Accanto a Leemann ho cominciato a concepire la cucina con un senso più profondo, etico. Volevo cucinare per migliorare la qualità della vita delle persone, in maniera virtuosa. Ma il sogno era di tornare a San Miniato e partendo da poco ci sono riuscito. Maggese per me rappresenta un campo fecondo, pieno di fiori e di colori dove gli animali sono liberi. Volevo stare vicino alla campagna proprio per raccoglierne i frutti. Le stagioni non sono 4 ma 20 se sai apprezzare tutta la frutta e la verdura tardiva o le parti non riconosciute nella cucina tradizionale». Uno dei piatti più rappresentativi è «Radici». Composto da radici e tubero, come quello bianco con il marchio a fuoco del nome del locale, vi è anche la cecina croccante con i «carducci», i butti dei carciofi che di solito si tolgono per rendere la pianta più forte. E poi la salsa di glassatura delle rape, quella di miso e il ginger. Pesto di erbe e carota, tartufo nero cotto. Un ensemble che resta separato. «Ci deve essere ampia libertà – conclude – di mischiare, o assaggiare singolarmente. Ognuno deve vivere il piatto come preferisce». Usciti dal ristorante è bello perdersi nel saliscendi del centro ammirando la Rocca di Federico II che troneggia dall’alto. Conosciuta per il re tartufo e la festa che lo celebra, San Miniato è piena di chiese. La più famosa è la Cattedrale di Santa Maria Assunta e San Genesio del 1200, poi rimaneggiata, a seguito di vari danneggiamenti. L’esplosione del 22 luglio del 1944 ha ispirato uno dei film più famosi dei fratelli Taviani, La notte di San Lorenzo. Si può percorrere la Scala Santa fino a raggiungere la pittoresca piazza del Seminario. Cambiando prospettiva una vista privilegiata arriva dalla macelleria Sergio Falaschi, dal 1925 quattro generazioni di maestri macellai, che ha aperto, nel retrobottega di via Conti. Usciti dal centro, in auto, a circa venti minuti di distanza, tramite via Bassa e via Corniano, si arriva alla fattoria Biosole, dove lo spettacolo si apre a centinaia di galline libere. Qui si possono acquistare uova e chiocciole, in un allevamento unico nel suo genere.
A tavola
«Ci sono i piatti irrinunciabili e quelli più sperimentali. Ci deve essere ampia libertà»