Le tre porte riunite nel Paradiso di piazza Duomo
Il Pisano restaurato nel museo dell’Opera del Duomo. Verdon: legame con Giotto
Il museo dell’Opera del Duomo svela la porta di Andrea Pisano dopo il restauro eseguito dall’Opificio delle Pietre Dure. Tornano così visibili una accanto all’altra, dopo decenni, le tre porte del Battistero fiorentino di San Giovanni. Da ieri le tre opere, 5 metri di altezza e 3 di larghezza, dominano la sala del Paradiso. Da lunedì l’apertura al pubblico.
Vedere insieme, le tre porte del Battistero di Firenze, non è un solo un colpo d’occhio notevolissimo, ma molto di più. «È una via d’accesso alla storia dell’arte fiorentina compresa tra gli inizi del Trecento e il 1452». A suggerirlo è Timothy Verdon, direttore del Museo dell’Opera del Duomo che aggiunge: «È come dire che nella Sala del Paradiso di questo museo si può capire quanto accadde a Firenze in un lasso di tempo che parte da quando Giotto operava in città e si conclude nell’anno di nascita di Leonardo da Vinci». Un’esperienza di singolare magnificenza, che da lunedì sarà aperta al pubblico. Ieri è stata svelata la più antica delle tre porte del Bel San Giovanni, quella che Andrea Pisano realizzò tra il 1329 e il 1336, dopo tre anni di restauro. «Tanti più o meno ce ne erano voluti per il recupero di quella nord del Ghiberti — ha ricordato il soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure Marco Ciatti — mentre molto più lungo era stato quello della magnifica Porta del Paradiso, anche lei del Ghiberti. Il suo progetto di restauro, iniziato nel 1978, si era infatti concluso nel 2012». Ma lo scarto tra i tempi per le tre imprese si spiega con una semplice osservazione. Gli studi e le sperimentate tecniche che hanno accompagnato il recupero della Porta del Paradiso sono stati poi applicati agli altri restauri.
Così anche questa più antica e non meno sorprendente opera di Pisan0 ha seguito, come ha spiegato Laura Speranza, direttrice del settore restauri bronzi dell’Opificio un iter collaudato che ha previsto «indagini neutroniche, poi un lavaggio ad acqua con nebulizzazione, dunque delle puliture meccaniche, una criosabbiatura per la pulitura del retro e infine l’ablazione con il laser della sporcizia nelle zone dorate». La Porta di Pisano racconta, in virtù di un enorme complesso narrativo realizzato in bronzo e dorato nelle parti a rilievo di maggiore impatto iconografico, la storia di San Giovanni Battista. L’opera, che a differenza di quella del Ghiberti coinvolse un numero non altissimo di collaboratori, malgrado la sua imponenza — il peso, 4 tonnellate ad anta, parla da sé — cita più volte quanto Giotto in quegli anni stava compiendo in Santa Croce nella Cappella Peruzzi. D’altronde il legame tra i due è noto, pare fu Giotto a caldeggiare la sua scelta per la Porta Sud e fu lo stesso Pisano a prendere in mano il cantiere del Campanile alla morte del maestro — «Sicuramente — fa notare Timothy Verdon — la quarta formella dal basso all’estrema destra dell’anta destra, di Pisano, con la scena di Salomè che dona alla madre la testa del Battista, riprende una parte del Banchetto di Erode della Cappella Peruzzi». Ma non basta: anche la Visitazione così come l’ha rappresentata Andrea Pisano e che qui è nell’anta sinistra in alto (seconda fila) rivela il forte legame con quella che Giotto aveva fatto per Santa Croce. Come dire tutto si tiene e si svela, a un visitatore accorto e informato.
L’Opificio
Un intervento durato tre anni grazie alle tecniche acquisite per lavorare su Ghiberti