Il rovesciamento del «Vernacoliere», un vecchio trucco
Caro direttore, mi lasci far capolino nel «triangolo epistolare» Livorno-Paradiso-Milano. Le reazioni di Mario Cardinali, dalle apparenze leggere e innocenti, hanno un loro nucleo serio e credo che il direttore del Vernacoliere lo sappia. È il secolare e corrosivo argomento polemico secondo cui l’autentica blasfemia è sulle labbra dei devoti, magari dei credenti (palesi, espliciti) in genere: sono loro a nominare invano il nome di Dio, della Madonna e dei Santi! D’altronde si copiava slealmente dalla cura d’anime: non era impossibile che un parroco, per invitare ad una credenza più interiore e misericordiosa, apostrofasse il suo uditorio femminile dicendo: «Se non saprete perdonare, se sparlate ingiustamente del prossimo, le vostre giaculatorie saranno più sgradite a Dio dei moccoli dei vostri uomini». Ma il buon parroco (diversamente da molti suoi colleghi d’oggi) parlava per pastorale paradosso e non avrebbe mai preso un moccolo o uno scherzo («scherza coi fanti…») per una forma di pietà, magari una implicita professione di fede. Tutto è possibile all’amore di Dio e alla sua grazia, ma i percorsi della grazia hanno bisogno di ben altri giudici.
Il gioco di rovesciare i termini delle cose gettando sul praticante, sul devoto, il fango delle connotazioni di ipocrita o di fanatico (per colpire tutto l’arco della religio tra i due estremi della credenza debole e fallibile, e di quella intensa e proclamata) è stato praticato in Europa dalle premesse libertine, attraverso le culture illuministiche, fino all’ottuso anticlericalismo di ceto (le borghesie radicali) e di massa (base e militanti socialisti) dei due ultimi secoli. I mondi religiosi, specialmente l’intelligencija delle chiese, sono stati attratti spesso in questo marché de dupes, cioè abbindolati. Per timore d’inautenticità quanti hanno ritegno a farsi il segno della croce o a menzionare Dio? Ritegno non per «rispetto umano», sarebbe un’attenuante; ma per convinzione ideologica («non si deve, è una forma impura, estrinseca, di fede»). Un ottimo risultato per l’irreligione (che tale è, on n’est pas dupes) questa diffamazione della bellezza, e della necessità, di segni e atti e abiti religiosi sulle persone. C’entrano Matteo Salvini e Mario Cardinali? Certamente. Il secondo infatti ci invita a credere che la Madonna (cifra pretestuosa per indicare il sentire religioso che ritiene rispettabile) sia «disturbata» dalla devozione del capo leghista, tra rosari e statuine. S’intende che è la provenienza leghista che disturba, ed è l’abbinamento che preoccupa. Come sempre, nei secoli, la polemica contro i devoti è politica, nient’altro.
E ci invita a credere, per di più, che Salvini non può che essere un «ipocrita»; il Vernacoliere invece. Ora, scriva il foglio livornese quello che vuole, ma non si faccia campione di devozione e di cristiano discernimento; lasci il compito a Scalfari. È vero che ai livelli alti delle chiese cristiane le persone disposte a farsi minchionare sono numerose, ma Cardinali e i suoi amici dovranno ancora rimboccarsi le maniche per un risultato del tutto soddisfacente.