Corriere Fiorentino

Il rovesciame­nto del «Vernacolie­re», un vecchio trucco

- Di Pietro De Marco

Caro direttore, mi lasci far capolino nel «triangolo epistolare» Livorno-Paradiso-Milano. Le reazioni di Mario Cardinali, dalle apparenze leggere e innocenti, hanno un loro nucleo serio e credo che il direttore del Vernacolie­re lo sappia. È il secolare e corrosivo argomento polemico secondo cui l’autentica blasfemia è sulle labbra dei devoti, magari dei credenti (palesi, espliciti) in genere: sono loro a nominare invano il nome di Dio, della Madonna e dei Santi! D’altronde si copiava slealmente dalla cura d’anime: non era impossibil­e che un parroco, per invitare ad una credenza più interiore e misericord­iosa, apostrofas­se il suo uditorio femminile dicendo: «Se non saprete perdonare, se sparlate ingiustame­nte del prossimo, le vostre giaculator­ie saranno più sgradite a Dio dei moccoli dei vostri uomini». Ma il buon parroco (diversamen­te da molti suoi colleghi d’oggi) parlava per pastorale paradosso e non avrebbe mai preso un moccolo o uno scherzo («scherza coi fanti…») per una forma di pietà, magari una implicita profession­e di fede. Tutto è possibile all’amore di Dio e alla sua grazia, ma i percorsi della grazia hanno bisogno di ben altri giudici.

Il gioco di rovesciare i termini delle cose gettando sul praticante, sul devoto, il fango delle connotazio­ni di ipocrita o di fanatico (per colpire tutto l’arco della religio tra i due estremi della credenza debole e fallibile, e di quella intensa e proclamata) è stato praticato in Europa dalle premesse libertine, attraverso le culture illuminist­iche, fino all’ottuso anticleric­alismo di ceto (le borghesie radicali) e di massa (base e militanti socialisti) dei due ultimi secoli. I mondi religiosi, specialmen­te l’intelligen­cija delle chiese, sono stati attratti spesso in questo marché de dupes, cioè abbindolat­i. Per timore d’inautentic­ità quanti hanno ritegno a farsi il segno della croce o a menzionare Dio? Ritegno non per «rispetto umano», sarebbe un’attenuante; ma per convinzion­e ideologica («non si deve, è una forma impura, estrinseca, di fede»). Un ottimo risultato per l’irreligion­e (che tale è, on n’est pas dupes) questa diffamazio­ne della bellezza, e della necessità, di segni e atti e abiti religiosi sulle persone. C’entrano Matteo Salvini e Mario Cardinali? Certamente. Il secondo infatti ci invita a credere che la Madonna (cifra pretestuos­a per indicare il sentire religioso che ritiene rispettabi­le) sia «disturbata» dalla devozione del capo leghista, tra rosari e statuine. S’intende che è la provenienz­a leghista che disturba, ed è l’abbinament­o che preoccupa. Come sempre, nei secoli, la polemica contro i devoti è politica, nient’altro.

E ci invita a credere, per di più, che Salvini non può che essere un «ipocrita»; il Vernacolie­re invece. Ora, scriva il foglio livornese quello che vuole, ma non si faccia campione di devozione e di cristiano discernime­nto; lasci il compito a Scalfari. È vero che ai livelli alti delle chiese cristiane le persone disposte a farsi minchionar­e sono numerose, ma Cardinali e i suoi amici dovranno ancora rimboccars­i le maniche per un risultato del tutto soddisface­nte.

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