Monticchiello traguardo raggiunto «Ora il paese è davvero nostro»
Ripagato il prestito con cui gli abitanti avevano acquistato gli immobili che si stavano svuotando
Si guardarono in faccia e lo «spettacolo desolante» che si trovarono davanti era questo: «Non c’era più il medico, nemmeno il prete, la scuola era deserta, chiudeva il negozio di generi alimentari» e via via, anno dopo anno, ricorda Andrea Cresti, monticchiellese classe ‘38 «tutte le relazioni sociali si erano disgregate».
Correva l’anno 1965. «Ci trovammo in otto a discutere dello spopolamento del borgo — con la fine della mezzadria e il boom economico, il 60% della popolazione di Monticchiello era andata via — Capimmo che l’unica cosa da fare era rimboccarsi le maniche e trasformare il disagio in uno spettacolo teatrale».
Così nasce il Teatro Povero tra le mura medievali del borgo della campagna senese, frazione di Pienza, la prima di tante esperienze di teatro «povero» perché fatto dai cittadini per raccontare le storie di paese, che nei decenni ha trovato fortuna, successo, importanti entrate economiche ed emulatori in gran parte del sud della Toscana. Portando in paese, ogni estate, sempre più turisti e appassionati di queste storie di paese virate in chiave drammaturgica.
L’esperienza teatrale condivisa dai cittadini-attori li ha portati nel 1980 a fondare la prima «cooperativa di comunità» della Toscana. «Pensarono di acquistare la sede attraverso il prestito sociale, fondando una realtà in cui tutti gli abitanti erano soci — racconta Fabio Rossi, 43 anni, attuale presidente — Con le prime quote sono iniziati gli acquisti, le ristrutturazioni degli immobili». Un primo
L’origine della cooperativa
«Era il 1965, eravamo in otto: non c’era più il medico e nemmeno il prete. Investimmo 300 mila euro e oggi nessuna casa è abbandonata»
mutuo. Poi un altro. L’ultimo, del 2005, di 130 mila euro, scade nel 2020 ed è un punto di svolta perché finalmente il prestito sarà ripagato: i cittadini, ex mezzadri, ex padroni di niente, saranno i proprietari del granaio della fattoria «degli antichi padroni», centro nevralgico e sede operativa della cooperativa stessa, delle cantine, del teatrino nella chiesa sconsacrata, della sala convegni, di due punti ristoro, un emporio aperto 365 giorni all’anno, il museo, una piccola foresteria, l’ufficio turistico, un noleggio di biciclette e un piccolo centro di accoglienza per migranti che attualmente accoglie sei richiedenti asilo. «Non c’è una sola casa abbandonata — dice con orgoglio Rossi — nessuna azienda agricola ha chiuso». Non solo: «In altri borghi sono arrivati imprenditori da fuori a comprarsi tutto e costruire spa e agriturismo, qui no, è tutto rimasto in mano ai monticchiellesi».
In 50 anni gli abitanti hanno sborsato circa 300 mila euro «ma quello che conta è l’apporto produttivo: con il teatro — prosegue Rossi — si parla di milioni di euro» mentre la cooperativa fattura circa 350 mila euro l’anno. «Tutti soldi reinvestiti nella comunità, in beni o in servizi per gli anziani, per la apertura di luoghi di socialità come l’emporio, ovviamente nel teatro, tra spettacoli e laboratori tutti gratuiti». Il noleggio di biciclette merita una riflessione a parte: «Così come i nostri nonni sfidavano l’inverno e il freddo per arare i campi, noi sfidiamo il nostro tempo, la modernità, per rimanere sul mercato — riflette Fabio Rossi — Abbiamo puntato sul turismo che però, forse, non basta più, dobbiamo dedicarci all’innovazione sia nel campo del turismo sia in altre attività, come ad esempio i tour per le campagne con le nostre biciclette elettriche pensate per i disabili, che creiamo nella ciclo-officina in cui lavorano insieme ragazzi disabili e migranti». Nata da un’idea, anzi «da un’esigenza» di un socio che ha perso un braccio in un incidente di moto e «vogliamo farne un centro all’avanguardia per la produzione di e-bike rivolte ai disabili».
Con questo metodo hanno salvato dall’abbandono molti edifici del borgo che, comprese le campagne, non arriva a 300 abitanti. Tra le mura meno di 120. Oggi la cooperativa conta 27 persone. L’anno prossimo «probabilmente prenderemo un altro mutuo». L’avventura prosegue. Fabio Rossi lo sa: «Questa è una sfida che non finisce mai». E Alberto Cresti, che del teatro povero è il regista storico, lo sa ancora meglio: «Siamo arrivati alla fine? La fine non c’è mai. È tutto così potente ma anche fragile. Siamo invecchiati. Alle nuove generazioni interessa stare su Facebook».