Il segreto della Befana
Tra le pagine delle «Storie fantastiche e di paura» di Carabba, Falchi e Vichi Una riscrittura delle novelle di Emma Perodi, da leggere per esorcizzare i «mostri»
In un antico casolare una misteriosa signora racconta delle storie misteriose. Sono vicende che stimolano la fantasia ed esorcizzano la paura e sono tratte dalle «Novelle della Nonna» di Emma Perodi di oltre cento anni fa.
Le hanno riscritte Enzo Fileno Carabba, Anna Maria Falchi e Marco Vichi per un libro intitolato «Storie fantastiche di paura». Le ha illustrate Laura Berti e sono uscite per Giunti. Qui pubblichiamo l’estratto di un racconto di Enzo Fileno Carabba dal titolo
«La befana carnivora».
La chiamavano befana. Lei non rispondeva. Forse era sorda. Una donna troppo alta, troppo magra. Non abitava neanche in paese. Ma lassù, sul cucuzzolo in alto a destra, il punto da dove arrivano le tempeste.
A quei tempi la neve era tanta. D’inverno bisognava deviare il corso del torrente per sgombrare la piazza, eppure la neve non era mai così alta da sommergere la figura della vecchia. Sembrava fatta di una sostanza allungabile. Vedevi la sua testa insensata spuntare dalla coltre bianca, mentre camminava sulle montagne fuori sentiero. Seguiva percorsi che capiva solo lei, la gente vi leggeva una prova della sua follia. In paese non andava quasi mai, ma quando qualcuno la incontrava lei non sorrideva. Borbottava qualcosa di offensivo e passava oltre, spenta, terribile, muovendo quelle braccia lunghe e rigide. Non era tonda come le belle donne del paese. I pezzi sproporzionati del suo corpo stavano insieme per una ragione inspiegabile, un misto di precarietà e di forza. Era ridicola e faceva paura.
Un anno capitò in paese un uomo che mancava da molto tempo. Da ragazzo Bertino era andato a lavorare a Firenze, le cose gli erano andate bene. A forza di fare soffitti di legno per le case dei ricchi era diventato quasi ricco anche lui. Era l’uomo più brutto del mondo ma i soldi gli avevano fatto dimenticare questo dettaglio: forse li incollava sullo specchio e guardandoli diceva «Ma come sono bello». Adesso in paese tutti gli sorridevano, tutti erano diventati suoi parenti, tutti lo invitavano ed erano gentili con lui, sperando di ricevere qualcosa. Bertino si sentiva molto sicuro di sé: con tutti i soffitti di legno che aveva fatto! Attraversando le stradine dove era stato ragazzo pensò di essere diventato un altro e credeva di non ricordare la befana. Questo era vero per lo strato superficiale del suo cervello. Ma dentro, in profondità, annidata tra i ricordi che non sapeva di avere, la befana lo aspettava da molto tempo.
Una sera andò a cena da certi nuovi parenti che per l’entusiasmo quasi lo carezzavano. «Come state bene. Che bell’aspetto che avete». E poi: «Volete sapere la novità? La befana se ne va». Appena la sentì nominare fu attraversato da una fiammata di memoria: si ricordò tutto di lei. Come poteva essere ancora viva? Quando lui era bambino lei era già vecchia e nessuno – neanche i centenari che ricordavano tutto - si ricordava di averla vista giovane. Sempre vestita allo stesso modo, sempre a lavorare una calza rossa. Senza parenti. In casa un gatto e una gallina. Tutti i giorni, infuriassero la tempesta o il sole, andava a raccogliere la legna nel bosco. Quando le chiedevano cosa ne facesse di tutta quella legna lei chiudeva gli occhi.
«Cenere» rispondeva. Quella donna era al centro di mille ragionamenti, che potremmo anche chiamare pettegolezzi. La sua catapecchia avrebbe dovuto essere piena di legna. Invece chi andava a spiarla di giorno vedeva la casa vuota e il fuoco sempre spento. Come se quella casa fosse un buco nero, una voragine che ingoiava tutto, la fonte del nulla. È vero che di notte usciva dalla casa un grande chiarore, e il camino fumava. Ma l’idea che la vecchia bruciasse la legna di notte era troppo semplice. La gente diceva che il fuoco notturno non bastava a smaltire tutta quella legna. Impazzivano dal desiderio che ci fosse qualcosa sotto. Volevano a tutti costi vedere un mistero nella vita della vecchia. Era così alta e scheletrica e verdognola. Come una modella di oggi. L’occhio strabico, l’andatura oscillante, l’espressione assente, quel non so che di malato nell’insieme, rendono ancora più calzante l’analogia con le bellezze contemporanee. Ma a quel tempo quella era bruttezza, orrore. «E poi: di cosa vive?» si chiedevano con occhietti furbi e sospettosi. E ripetevano all’infinito le stesse storie su di lei, se le passavano di bocca in bocca fino a trasformarle. Le sue risposte terribili, la calza rossa, la legna eccessiva, il fuoco notturno. Niente soldi. Nulla di quello che faceva quella donna aveva senso. E se ce l’aveva glielo toglievano loro. (...)
Finita la cena Bertino cominciò a salire verso il cucuzzolo della vecchia. Da lassù spirava un vento contrario, come un tempo, come sempre. Ma lui arrancò fino in cima. Spiò dalla finestra della catapecchia, che tante volte era stata attraversata dalle sue sassate. Non osava sporgersi troppo, perché voleva restare nascosto. Vedeva il chiarore del caminetto ma non vedeva il fuoco. La vecchia non era cambiata. Sembrava un fossile vivente. Forse apparteneva a una specie estinta. La gallina invece era enorme. La vecchia copriva il pavimento con briciole di uno strano becchime. Ne assaggiò una. «Mmmm, che delizia. Il viandante curioso ha sempre un buon sapore» disse. Carezzò la gallina.(...)
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Analogie
Volevano a tutti costi vedere un mistero nella vita della vecchia
Era così alta e scheletrica e verdognola. Come una modella di oggi
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Carnivora
La vecchia copriva il pavimento con briciole di uno strano becchime. Ne assaggiò una. «Il viandante curioso ha sempre un buon sapore»