SONO BASTATI 6 MESI... (NOI, LUI E L’AMERICA)
Sono bastati sei mesi a Rocco Commisso per pronunciare due parole che esprimono tutto l’opposto di quell’entusiasmo con cui era cominciata la stagione fiorentina del nuovo presidente viola. «Sono deluso». Nel caso dello stadio già era apparso in tutta evidenza il contrasto tra il suo approccio pragmatico e decisionista e la farraginosità di un sistema amministrativo-burocratico che sembra concepito apposta per fare da ostacolo a qualunque impresa, ma fino a ieri Commisso aveva sempre reagito sottolineando la sua voglia di investire, di fare. E di fare presto. «Fast, fast, fast!». Ora il barometro si sposta sul brutto tempo. Ma che succederà? Per lo stadio rimangono aperte tutte le opzioni, compresa la sua costruzione fuori dal Comune di Firenze.
Sicuramente il presidente della Fiorentina valuta troppo alto il prezzo per acquistare l’area Mercafir, e questo è un problema assai serio per il sindaco Nardella. Di contro, Commisso ha riaperto vistosamente all’ipotesi del restyling del Franchi. Una soluzione che potrebbe mettere tutti d’accordo, e con tempi rapidi di intervento, se il soprintendente Pessina non si fosse messo di traverso negando la possibilità di abbattere le vecchie curve per costruire le nuove più vicino al campo di gioco, liberando spazi cruciali per le attività collaterali, compresi negozi e ristoranti. Il bello è che Pessina, da una parte, ha fatto naufragare l’idea che la Fiorentina possa giocare ancora al Franchi con delle modifiche che le consentano di coltivare entrate e ambizioni da grande calcio e, dall’altra, ha sollecitato il restauro del vecchio stadio per evitarne il degrado. Ma perché il Comune dovrebbe sobbarcarsi un impegno di spesa tanto gravoso senza poter contare su una sua utilizzazione futura?
Le chiacchiere, come si dice, stanno a zero: non c’è sport che a Firenze possa contare su un bacino di utenza compatibile con le dimensioni del Franchi, e qualunque altro uso per fini non sportivi non potrebbe che essere episodico, a cominciare dai concerti. Tanto episodico da non potere, di nuovo, far quadrare i conti. La soprintendenza avrebbe potuto seguire la linea già tenuta sulla selva dei pali della tramvia che sono stati installati deturpando piazza Stazione. Eppure, l’abside di Santa Maria Novella è un capolavoro del Trecento, riconosciuto da tutti come tale, a differenza delle curve del Franchi, che non sono svettanti come la Torre di Maratona né ardite come la Tribuna centrale che si lancia nel vuoto. Ma così vanno le cose a Firenze. Anzi, non vanno proprio. E c’è il rischio che invece di aver trovato l’America si riesca nell’intento di farla scappar via. A gambe levate.