Corriere Fiorentino

L’ERRORE DI CERCARE SOLO IL CONSENSO

- Di Sergio Ceccuzzi*

aro direttore, ancora una volta nella nostra Toscana (e direi anche nel nostro Paese ) stiamo vivendo un periodo difficile, nel quale il tempo sembra fermarsi e fiumi di parole in libertà e di contrasti autorefere­nziali prendono il sopravvent­o sui fatti.

E soprattutt­o prendono il sopravvent­o sulle soluzioni dei problemi. Già a partire dalla fine del secolo scorso e con forte accelerazi­one in questi primi venti anni del nuovo secolo il vento del cambiament­o e della rivoluzion­e tecnologic­a ha spirato e spira forte; cambiament­o che vuol dire che una società moderna non può vivere sul suo passato, ma, forte di esso, deve sapersi proiettare nel futuro, essendo capace di guidarlo il cambiament­o, di risolvere i problemi che esso pone, di programmar­e, per quanto possibile, lo sviluppo. La nostra Regione, a cominciare dal suo capoluogo Firenze ha avuto (ma voglio ancora dire che ha!) un’occasione irripetibi­le di crescita e di sviluppo sia sotto il profilo infrastrut­turale che sociale, in termini di occupazion­e e quindi di benessere più diffuso. Occorre infatti non dimenticar­e che in questi anni la competizio­ne tra territori è divenuta altrettant­o importante della competizio­ne tra imprese; e che la competitiv­ità di un territorio condiziona la competitiv­ità delle imprese che in esso sono inserite e quindi la loro capacità di creare ricchezza. Nei recenti editoriali che hai scritto sul Corriere Fiorentino hai fotografat­o bene la situazione di stallo in cui ci troviamo ed in cui ancora una volta rischiamo di impantanar­ci. La storia di un aereoporto efficiente, moderno, sicuro a Firenze è emblematic­a; e mi sembra, quando si guarda indietro, che si dimentichi che essa nasce più o meno cinquanta anni fa, quando una sciagurata scelta del governo regionale (campanilis­mi anche allora?) dirottò i fondi destinati alla costruzion­e di un aereoporto «toscano» a San Giorgio a Colonica verso una fantomatic­a rete ferroviari­a di collegamen­to Firenze/Pisa, che non mi sembra sia stata realizzata. La «guerra dei campanili» in una regione che sfiora appena i quattro milioni di abitanti (ormai molte città nel mondo hanno numeri ben superiori); che ha la fortuna di essere rinomata per la sua cultura e la sua arte; che ha una grande ricchezza industrial­e, con filiere tra grandi e piccole e medie imprese; che ha la potenziali­tà di una rete infrastrut­turale moderna, basata su un sistema portuale, aereoportu­ale e ferroviari­o che se si realizzass­ero le opere previste sarebbe un «unicum» in Italia ed all’avanguardi­a in Europa; è un vero non senso! Ma purtroppo questa è l’attualità, che impedisce la crescita e lo sviluppo. Eppure una ragione ci deve essere, se il passare del tempo e il riflettere su cosa avviene al di fuori del proprio orticello non fanno presa e si continua, in un modo o nell’altro, a bloccare ogni iniziativa. Io sono convinto che nel nostro Paese siamo ancora molto indietro in termini di cultura politica e di cultura istituzion­ale; spesso vince chi grida di più e chi approfitta dell’altoparlan­te dei media; manca il rispetto della volontà della maggioranz­a e l’interesse generale è sacrificat­o a quello particolar­e. Qualcuno sostiene che tutto questo deriva da una accresciut­a debolezza della attuale classe (non in senso marxiano) politica; ma essa non nasce sulla luna ed è espression­e diretta di tutti noi, della società civile che l’ha eletta. I paragoni con il passato sono sempre scomodi, fuori contesto, spesso ingiusti; semmai si può dire che i partiti non sono più in grado di incanalare e governare il consenso al proprio interno e sono in genere in crisi, forse ancora più grave degli altri corpi intermedi. Sono convinto, e le prossime elezioni regionali potrebbero essere un’occasione buona per discuterne seriamente, che occorra ripartire dalla necessità di una crescita istituzion­ale e culturale da parte della politica; il consenso su «i programmi dell’ovvietà» in cui chiunque può riconoscer­si non servirà a superare i campanilis­mi e i miopi egoismi minoritari e locali e rischiereb­be di impantanar­si di nuovo e presto nell’immobilism­o. L’attrattivi­tà del nostro territorio e del Paese sta rischiando di perdere ogni giorno un po’ del suo carattere se non è proiettata allo sviluppo ed alla crescita; se non è capace di attivare il motore dello sviluppo, rappresent­ato dal creare le condizioni per una presenza sempre più numerosa e qualificat­a di imprese capaci di produrre ricchezza da redistribu­ire (e non, come tristi esempi recenti anche in Toscana, per non parlare dell’intero Paese, obbligarci a subire il trasferime­nto di intere produzioni in altri Paesi... più competitiv­i, non solo per il minore costo della mano d’opera); se non è in grado di rinnovarsi di fronte al «cambiament­o».

Ecco perché ho parlato di cultura politica e di cultura istituzion­ale; spesso la ricerca spasmodica del consenso di tutti non solo non aiuta nelle scelte, ma rappresent­a un boomerang molto negativo. Io sono ancora convinto che un modo serio per affrontare con successo questi anni di rivoluzion­e tecnologic­a e di competizio­ne globale (che impongono accanto alla rapidità delle decisioni la rapidità delle realizzazi­oni), garantendo alla nostra società un benessere diffuso, consista in un grande sforzo, a partire da noi cittadini, di ritrovare quella cultura e quel rispetto dei valori che la Politica con la P maiuscola deve saper trasformar­e in azione di governo. La speranza che si riesca non deve morire.

❞ Nel nostro Paese siamo ancora molto indietro in termini di cultura politica e istituzion­ale Spesso vince chi grida di più e chi approfitta dell’altoparlan­te dei media

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