L’ERRORE DI CERCARE SOLO IL CONSENSO
aro direttore, ancora una volta nella nostra Toscana (e direi anche nel nostro Paese ) stiamo vivendo un periodo difficile, nel quale il tempo sembra fermarsi e fiumi di parole in libertà e di contrasti autoreferenziali prendono il sopravvento sui fatti.
E soprattutto prendono il sopravvento sulle soluzioni dei problemi. Già a partire dalla fine del secolo scorso e con forte accelerazione in questi primi venti anni del nuovo secolo il vento del cambiamento e della rivoluzione tecnologica ha spirato e spira forte; cambiamento che vuol dire che una società moderna non può vivere sul suo passato, ma, forte di esso, deve sapersi proiettare nel futuro, essendo capace di guidarlo il cambiamento, di risolvere i problemi che esso pone, di programmare, per quanto possibile, lo sviluppo. La nostra Regione, a cominciare dal suo capoluogo Firenze ha avuto (ma voglio ancora dire che ha!) un’occasione irripetibile di crescita e di sviluppo sia sotto il profilo infrastrutturale che sociale, in termini di occupazione e quindi di benessere più diffuso. Occorre infatti non dimenticare che in questi anni la competizione tra territori è divenuta altrettanto importante della competizione tra imprese; e che la competitività di un territorio condiziona la competitività delle imprese che in esso sono inserite e quindi la loro capacità di creare ricchezza. Nei recenti editoriali che hai scritto sul Corriere Fiorentino hai fotografato bene la situazione di stallo in cui ci troviamo ed in cui ancora una volta rischiamo di impantanarci. La storia di un aereoporto efficiente, moderno, sicuro a Firenze è emblematica; e mi sembra, quando si guarda indietro, che si dimentichi che essa nasce più o meno cinquanta anni fa, quando una sciagurata scelta del governo regionale (campanilismi anche allora?) dirottò i fondi destinati alla costruzione di un aereoporto «toscano» a San Giorgio a Colonica verso una fantomatica rete ferroviaria di collegamento Firenze/Pisa, che non mi sembra sia stata realizzata. La «guerra dei campanili» in una regione che sfiora appena i quattro milioni di abitanti (ormai molte città nel mondo hanno numeri ben superiori); che ha la fortuna di essere rinomata per la sua cultura e la sua arte; che ha una grande ricchezza industriale, con filiere tra grandi e piccole e medie imprese; che ha la potenzialità di una rete infrastrutturale moderna, basata su un sistema portuale, aereoportuale e ferroviario che se si realizzassero le opere previste sarebbe un «unicum» in Italia ed all’avanguardia in Europa; è un vero non senso! Ma purtroppo questa è l’attualità, che impedisce la crescita e lo sviluppo. Eppure una ragione ci deve essere, se il passare del tempo e il riflettere su cosa avviene al di fuori del proprio orticello non fanno presa e si continua, in un modo o nell’altro, a bloccare ogni iniziativa. Io sono convinto che nel nostro Paese siamo ancora molto indietro in termini di cultura politica e di cultura istituzionale; spesso vince chi grida di più e chi approfitta dell’altoparlante dei media; manca il rispetto della volontà della maggioranza e l’interesse generale è sacrificato a quello particolare. Qualcuno sostiene che tutto questo deriva da una accresciuta debolezza della attuale classe (non in senso marxiano) politica; ma essa non nasce sulla luna ed è espressione diretta di tutti noi, della società civile che l’ha eletta. I paragoni con il passato sono sempre scomodi, fuori contesto, spesso ingiusti; semmai si può dire che i partiti non sono più in grado di incanalare e governare il consenso al proprio interno e sono in genere in crisi, forse ancora più grave degli altri corpi intermedi. Sono convinto, e le prossime elezioni regionali potrebbero essere un’occasione buona per discuterne seriamente, che occorra ripartire dalla necessità di una crescita istituzionale e culturale da parte della politica; il consenso su «i programmi dell’ovvietà» in cui chiunque può riconoscersi non servirà a superare i campanilismi e i miopi egoismi minoritari e locali e rischierebbe di impantanarsi di nuovo e presto nell’immobilismo. L’attrattività del nostro territorio e del Paese sta rischiando di perdere ogni giorno un po’ del suo carattere se non è proiettata allo sviluppo ed alla crescita; se non è capace di attivare il motore dello sviluppo, rappresentato dal creare le condizioni per una presenza sempre più numerosa e qualificata di imprese capaci di produrre ricchezza da redistribuire (e non, come tristi esempi recenti anche in Toscana, per non parlare dell’intero Paese, obbligarci a subire il trasferimento di intere produzioni in altri Paesi... più competitivi, non solo per il minore costo della mano d’opera); se non è in grado di rinnovarsi di fronte al «cambiamento».
Ecco perché ho parlato di cultura politica e di cultura istituzionale; spesso la ricerca spasmodica del consenso di tutti non solo non aiuta nelle scelte, ma rappresenta un boomerang molto negativo. Io sono ancora convinto che un modo serio per affrontare con successo questi anni di rivoluzione tecnologica e di competizione globale (che impongono accanto alla rapidità delle decisioni la rapidità delle realizzazioni), garantendo alla nostra società un benessere diffuso, consista in un grande sforzo, a partire da noi cittadini, di ritrovare quella cultura e quel rispetto dei valori che la Politica con la P maiuscola deve saper trasformare in azione di governo. La speranza che si riesca non deve morire.
❞ Nel nostro Paese siamo ancora molto indietro in termini di cultura politica e istituzionale Spesso vince chi grida di più e chi approfitta dell’altoparlante dei media