Paolo Benvegnù parla del nuovo disco che lo ha riportato a Firenze. «Spero si rinasca con meno odio»
Ore 7.30 «Dentro la notizia», a cura di Gaetano D’Arienzo vede protagonisti Alessandro Scipioni della Lega e Irene Galletti del Movimento 5 Stelle. In replica alle 12
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Ore 23.30 Speciale «Toscana 2052» per guardare al futuro, anche in tempi di emergenza, in chiave di economia circolare secondo una piattaforma di impegni e progetti sostenibili.
«Non è che appena torno a Firenze mi fate fare la fine di Savonarola, vero?». Non si vede come un untore, Paolo Benvegnù. «Ma come una Cassandra sì, visto che questo disco parla di come riappropriarsi della propria noia, guardare dentro alla propria solitudine, concentrarsi sul mondo dell’invisibile…». Mette le mani avanti, con una battuta. Il cantautore, ex Scisma, il 6 marzo ha pubblicato uno degli album più intensi della sua carriera d’artista, Dell’odio dell’innocenza che lo ha visto tornare a lavorare a Firenze perché si è affiliato alla scuderia Black Candy Records. E per registrare il video del singolo Pietre nella Cavea del Teatro del Maggio. Da Firenze se n’è andato tre anni fa, perché la vita, l’amore e la paternità, lo hanno portato a Perugia. Ma è Firenze «la città che mi ha svezzato» pur essendo milanese di nascita, dopo anni da nomade tra Prato e Arezzo. «Sceglierei di nuovo di vivere a Firenze mille e mille volte, non c’è posto migliore». Il 20 marzo il suo tour doveva passare dal Viper Theater. Invece si è fermato a Catania, prima e unica data. Poi è arrivato il coronavirus. E ora la sua musica viaggia online, in attesa che l’emergenza passi.
❞ Non mi interessa il successo, ma realizzare un’impresa, che può anche essere stare fermi ad ascoltare il mondo
«Dell’odio e dell’innocenza» è un disco di storie, racconti. Sembra un libro da ascoltare. Se dovesse scriverne la quarta di copertina, come lo definirebbe?
«Direi che è un racconto sulla cecità e sull’improbabile. Sono storie dell’impossibilità di cogliere le cose appieno. Della ricerca spasmodica di ciò che è nascosto e insondato».
Ha detto, citando Bergonzoni, che non le interessa il successo ma il far succedere…
«Nel senso di intraprendere, di realizzare “un’impresa” che può essere anche stare fermi e guardare il mondo, ascoltarlo in silenzio. O avere intorno persone e idee e farle diventare un pensiero tangibile. Mi piace il senso dell’intraprendere qualcosa. Anche se poi ovviamente è sempre un fallimento. Perché percepiamo poco, siamo insufficienti, descriviamo le cose come le vediamo ma non basta, c’è molto di più da scoprire, qualcosa che nel tempo ci siamo persi perché siamo schiavi del corpo e dei suoi sensi. Per uscirne non occorrono viaggi astrali, ma la volontà di concentrarsi, in modo subliminale. È una disciplina di ricerca, un’immaginazione, che prevale sulla realtà».
La tournée è partita prima della quarantena: una data e stop. Come sta vivendo questo momento di emergenza?
«Piuttosto bene. In fondo queste canzoni rappresentano delle tensioni verso l’infinito. E fare una tournée di una data sola è in linea con l’idea del disco. Anche se non potevo saperlo. Recupereremo a maggio, spero».
Eppure lei è uno abituato a vivere continuamente in movimento e continuamente in contatto con le persone…
«E adesso sono a casa da solo. Ma con una compagna e una bimba di tre anni che mi sopportano. Faccio il babbo a tempo pieno ed è una cosa molto bella. Sono sempre felice di incontrare altri esseri umani ma resto un tipo tendenzialmente schivo e solitario, lo sono fin da quando ero bambino».
Odio e innocenza. Due parole perfette in questi tempi.
«Sto vivendo questo momento storico con la speranza che dopo questa sorta di legge marziale si possa rinascere, come dopo la guerra, più poveri ma un po’ meno soli, con meno odio e più voglia di essere felici».
Attuale è anche il suo paragonarsi a Silvio Pellico. Ora le nostre prigioni sono le nostre case…
«In realtà io intendevo le prigioni che abbiamo nel corpo, nelle percezioni. La prigione-casa di adesso non mi scuote, ho passato anni a osservare una fessura nel muro cercando di comprendere l’abisso. Non ci sono riuscito ma almeno mi sono allenato alla futura quarantena. Quella che viviamo adesso è una libertà limitata. Ma — mi chiedo — quella di prima era davvero una libertà illimitata?».
Quella che viviamo adesso è una libertà limitata Ma quella di prima era davvero illimitata?