«Io, nonno in clausura Senza i nipoti e col pensiero ai fochi di San Giovanni»
Caro direttore, sono un anziano fiorentino costretto come tutti in questi giorni alla clausura. Non vedo i miei nipoti che scandivano le mie giornate quando il coronavirus non aveva ancora fatto irruzione nelle nostre vite. Non vado più al supermercato perché è troppo rischioso. Le uniche mie finestre sul mondo esterno sono la televisione e il giornale che mio figlio mi porta quando viene a consegnarmi la spesa. Ogni giorno che passa cresce sempre di più la paura. Alla mia età il tempo corre più veloce. E ogni telegiornale che vedo, con quella tragica contabilità dei morti, ho come la sensazione che quel tempo, per me e i 74 anni che mi porto sulle spalle, si accorci sempre di più. Temo che la nostra reclusione andrà avanti ancora a lungo. Qualcuno dice che potremmo arrivare anche all’estate. Si sta fermando tutto il mondo. E allora, chiuso tra le pareti di una casa diventata una prigione, il pensiero vola al 24 giugno, giorno della festa del patrono di Firenze. Mi auguro che per quella data avremo finalmente sconfitto il virus che sta annientando le nostre vite, così che i tradizionali «fochi» possano segnare la liberazione dall’incubo.
Ma se così non fosse, se la ricorrenza dovesse trovarci tutti ancora chiusi nelle nostre case, sarebbe un bel segnale di resistenza regalare comunque alla città quello spettacolo. Certo, difficilmente i «fochi» sarebbero visibili a tutti dalle finestre della propria casa, ma il suono degli scoppi in questo strano silenzio raggiungerebbe gran parte della città e regalerebbe un po’ di festa e di speranza a tutti anche in un momento così duro. So che parlare di questo argomento oggi, di fronte a un dramma come quello che stiamo vivendo, potrebbe suonare quasi oltraggioso ma credo che oggi più che mai abbiamo bisogno di aggrapparci a qualcosa che vada oltre la paura e il dolore di questi giorni.
Che sia il ricordo di una passeggiata in compagnia dei nipoti, di un compleanno da festeggiare, del mare che ci aspetta alla fine dell’inverno o anche di una coda all’ufficio postale per ritirare la pensione. Semplicemente di una vita normale che prima sembrava banale, ripetitiva e scontata ma che oggi, vista da qui, appare invece assolutamente straordinaria.