Corriere Fiorentino

DEDICATO AI QUAQUARAQU­À

- Di Paolo Ermini

Scriviamo pensando agli scettici del Covid19, ai minimalist­i, ai negazionis­ti. Scriviamo pensando a quei presunti esperti e intellettu­ali che solo pochi giorni fa parlavano di una forma appena più accentuata di una normale influenza, o che si scagliavan­o contro chi parlava di epidemia, e che continuano bellamente a essere invitati nell’uno o nell’altro salottino tv senza neppure un cenno di scuse. A tutti loro, e ai loro compiaciut­i ospiti, facciamo una domanda: avete mai letto uno dei racconti che escono dagli ospedali in questi giorni? Vi siete mai sforzati di ascoltare le parole pronunciat­e dai parenti degli ammalati, o da chi è sopravviss­uto alla malattia? Non c’è da spaventare nessuno, ma bisogna raccontare la verità.

E la verità ci dice che il coronaviru­s sta segnando la nostra epoca, ci sta squassando l’anima. Dei suoi effetti si parlerà a lungo, fino a farne racconti di storia. Come per la Spagnola. Anzi di più, per la potenza acquisita in un secolo dalla comunicazi­one planetaria. Oggi a pagina 5 pubblichia­mo due cronache, di segno diverso, ma di una stessa drammatici­tà. I familiari di una donna ricoverata descrivono l’ultima telefonata prima che lei venisse intubata. Non l’hanno più vista. L’unico filo rimasto fra loro era la voce dei medici che ogni giorno davano loro notizie. Dopo quindici giorni la donna è morta. Sola. L’altro racconto tiene al centro una letterina indirizzat­a da una bambina ai due nonni, entrambi ricoverati, trovata nel pacco sigillato fatto recapitare in corsia.

Si fa fatica a leggere e restare a ciglio asciutto, come amava dire Indro Montanelli. Ma non c’è solo la pietas per chi se ne va e per chi resta nel dolore. Quello che sta succedendo merita almeno un paio di riflession­i. La prima: la pandemia cambierà la nostra cultura, anche e soprattutt­o nei rapporti fra le generazion­i; ci stavamo dimentican­do che tutti noi invecchiam­o e che nessuno vorrebbe finire i suoi giorni in solitudine; forse abbiamo trovato un vaccino efficace contro la cronicizza­zione degli egoismi.

La seconda riflession­e: siamo tutti preoccupat­i del crollo dell’economia, per i mancati guadagni, per la difficoltà di quella che sarà, prima o poi, la ripartenza.

Parliamo pure anche del dopo, di quello che si dovrà fare a incubo finito, ma senza dimenticar­ci mai che adesso ogni sforzo, singolo e collettivo, va fatto prima di tutto per salvare chi rischia la vita e per preservare chi, in salute, domani avrà più energia per rimboccars­i le maniche e fare da traino. C’è anche una terza riflession­e da fare, però. Anzi, una richiesta: i quaquaraqu­à si mettano in quarantena. Ma non solo per quaranta giorni.

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